Tra Minerva e Marte

Il regno d’Italia aveva ereditato per gemmazione dagli antichi Stati preunitari 19 sedi universitarie (alle quali si aggiunsero, al compimento del processo risorgimentale Padova nel 1866 e Roma nel 1870), per un totale di 21, disposte in modo ineguale e per alcuni versi irrazionale sul territorio nazionale, con un addensamento prevalente nelle regioni del Centro-Nord. Di fatto l’Italia contava un numero di università superiore a Paesi più ‘strutturati’ e avanzati dal punto di vista culturale ed economico, quali Francia (15 Atenei) e Germania (20), in funzione di una popolazione studentesca tutto sommato ridotta (in percentuale solo lo 0,64-0,70% della popolazione giovanile tra i 20/24 anni nell’arco temporale 1860-1900): era attiva un’università ogni 1.436.114 cittadini italiani.1

Con il nuovo secolo la popolazione universitaria italiana registrò un costante incremento (33.000 unità nel 1915: l’1,09% delle classi d’età interessate), tuttavia ancora sensibilmente inferiore ai parametri stranieri: 1.25% in Francia; 1.33% in Germania; 1,6% in Austria).

I tentativi di ridimensionamento numerico messi in campo dal Ministero della Pubblica Istruzione si infransero regolarmente sulle resistenze locali, abbarbicate all’idea di una propria università cittadina (persino la fragilissima Sassari riuscì a sopravvivere). Per mirare meglio le risorse disponibili e forse operare una sorta di ‘selezione naturale’ che via via facesse cadere i rami più fragili e periferici, una legge del 1862 (Matteucci) divise le università statali in prima e seconda classe, caratterizzate anche da differenti flussi finanziari da parte dello Stato.

In origine furono collocate in prima classe afferivano le università di Bologna, Napoli, Palermo, Pavia e Torino (poi anche Padova e Roma); alla seconda furono ascritte quelle di Cagliari, Catania, Genova, Macerata, Messina, Modena, Parma, Sassari e Siena con un minore flusso finanziario da parte dello Stato. Poi via via anche alcuni Atenei di seconda classe riuscirono ad accreditarsi alla fascia superiore.

Il panorama universitario era segnato da grandissime difformità in termini di popolazione scolastica: dalla elefantiaca Napoli, alle minuscole Urbino e Macerata con un centinaio di studenti.

Le università si dividevano, anche in rapporto alle diverse linee di finanziamento, in statali e libere. Erano entrambe statali: ma le prime dipendevano direttamente dallo Stato, attraverso il suo sistema universitario centralizzato che le controllava politicamente, amministrativamente e finanziariamente, finanche per quanto atteneva la nomina dei rettori (di nomina regia) e dei docenti (Ministero). Mentre le università libere venivano finanziate a livello locale ed erano legate amministrativamente ai Comuni e quindi alle élites locali, o nel caso dell’Università di Urbino, alla Provincia. Storicamente il problema di quest’ultime era soddisfare i canoni e requisiti didattici del piano di studi a cui erano vincolate per conservare il diritto a conferire lauree e diplomi.

Le facoltà delle università italiane erano originariamente cinque: GIURISPRUDENZA, MEDICINA E CHIRURGIA, SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI e TEOLOGIA; quest’ultima fu soppressa dal Governo nel 1873.

Giurisprudenza e Medicina facevano la ‘parte del leone’, assorbendo complessivamente 2/3 del totale degli iscritti dell’intero sistema universitario italiano, che, all’entrata in guerra, contava una popolazione scolastica di circa 33.000 unità. Nel 1920, la prima rilevazione post-bellica registrò, invece, la crescita abnorme del numero degli studenti universitari, più che raddoppiati, e passati a 62.000 in ragione delle facilitazioni imposte dalle contingenze belliche: in particolare l’esonero dal pagamento delle tasse, le iscrizioni d’ufficio per gli studenti al fronte e per gli studenti-militari in servizio in zona territoriale, unite ad una – comprensibile – attenuata severità nei confronti degli studenti-militari che tornavano dal fronte per sostenere episodiche prove d’esame.

Al momento dell’entrata in guerra (1915) le università dotate di una facoltà di Medicina e Chirurgia erano le seguenti:

 

  • Bologna

  • Cagliari

  • Catania

  • Firenze (*) (Reale Istituto di Studi superiori pratici e di Perfezionamento)

  • Genova

  • Messina

  • Modena

  • Napoli

  • Padova

  • Palermo

  • Parma

  • Pavia

  • Pisa

  • Roma

  • Sassari

  • Siena

  • Torino

  • Camerino (**) (Università libera)

  • Ferrara (***) (Università libera)

  • Perugia (Università libera)

 

 

(*) Ideato come istituzione post-universitaria che gli studenti di Pisa e Siena erano obbligati a frequentare per ottenere l’abilitazione alle professioni liberali.

(**) Per questa università il diritto di conferire lauree in medicina era legato all’obbligo di compiere gli ultimi due anni presso un’università statale. Nel 1883 fu istituito il primo biennio della Scuola di Veterinaria.

(***) A partire dal 1872 un ridimensionamento di questa Università di pertinenza municipale, offriva solo diplomi agli studenti del Corso del primo biennio di Medicina, di quello per le levatrici e dei due Corsi di Farmacia e di Veterinaria.

Le facoltà mediche di provenienza dei docenti e degli studenti castrensi

BOLOGNA: è la più antica università italiana ed europea e può vantare «alcune famose “scuole” mediche come quella di Pietro Albertoni per la fisiologia, di Guido Tizzoni per la patologia generale, di Augusto Murri per la clinica medica e di altri illustri insegnanti come Giuseppe Sanarelli e Paolo Pellacani, allievi di Louis Pasteur il primo e di Oswald Schmiedeberg il secondo. Anche il numero relativamente alto di insegnanti liberi è segno evidente di una consistente attività didattica.»2

CAGLIARI: la facoltà di Medicina fu connotata da una strutturale fragilità di finanziamento e quindi di organici (15 cattedre nel 1915) e quindi per garantire tutti i corsi obbligatori di uno studio medico completo, fu costretta ad accorpare più insegnamenti in un unico corso, senza corsi complementari e di specializzazione. Unica cattedra di nuova formazione fu Pediatria, presente ormai in tutte le università italiane, tranne Sassari.

Scarsamente appetibile, dati i bassi stipendi, la carenza di strutture per la ricerca e la lontananza geografica, Cagliari fu considerata una stazione di passaggio per i docenti vincitori di concorso, così che a partire dagli anni Sessanta la quota dei professori ordinari vide un costante declino. «Un buon esempio è fornito dalla cattedra di Patologia generale: a partire dal 1890, si susseguirono nomi illustri come Alessandro Lustig, Benedetto Morpurgo, Tito Carbone, Arnaldo Trambusti, Gino Galeotti, Eugenio Centanni, Cesare Sacerdotti e Aldo Perroncito, tutti provenienti dalle migliori scuole italiane di patologia, ma nei ventisei anni tra il 1890 e il 1915 il titolare cambiò ben undici volte.»3

CATANIA: è la più antica delle tre università siciliane; la sua Facoltà medica alternò periodi di espansione a momenti di difficoltà. «Nel 1915 Catania poteva vantare sedici istituti medici, nei quali lavoravano trentatré giovani scienziati pagati. Uno sforzo notevole fu compiuto anche per quanto riguarda la didattica. A partire dal 1910, la Facoltà medica di Catania offriva ogni anno tra i ventidue e i ventiquattro corsi ufficiali, quindici dei quali tenuti da professori ordinari, con corsi complementari di Otorinolaringoiatria, Chimica fisiologica, Istologia patologica, Embriologia, Batteriologia e Parassitologia. A questi insegnamenti ufficiali furono, inoltre, affiancati più di trenta corsi liberi.»4

FIRENZE: non era sede di un’università ma di un Real Istituto di Studi superiori pratici e di Perfezionamento. In seguito ad accordi stabiliti nel 1859 con le Università di Pisa e Siena, la Sezione di Medicina e Chirurgia di Firenze forniva solo gli ultimi due anni del corso medico-chirurgico e con questo tutti i corsi clinici. Di fatto, però al momento dell’entrata in guerra, Firenze introdusse nel suo curriculum sempre più corsi di disciplina di base, come Patologia generale e Anatomia patologica diventando sempre più simile ad un ateneo.

Le università di Pisa e di Siena potevano conferire solo lauree di primo grado. In seguito, gli accordi con il l’Istituto di Firenze obbligarono gli studenti di medicina e chirurgia a compiere nelle due università toscane solo i primi quattro anni del corso medico e a rivolgersi per gli ultimi due anni alla Sezione di Medicina e Chirurgia di Firenze.

A dispetto degli accordi, però, Pisa e Siena riuscirono a introdurre via via i corsi clinici specialistici necessari per assicurare la completezza dell’intero percorso didattico e scolastico. Fu la prima Facoltà medica italiana a introdurre ufficialmente la cattedra di Pediatria.

GENOVA: nel 1892 inserì per prima in Italia un insegnamento ufficiale di Odontoiatria. Nel 1915 «l’offerta didattica si estese a ventiquattro cattedre ufficiali, diciassette delle quali occupate da professori ordinari, risultando inferiore solo alle tre grandi università di Napoli, Roma e Torino.»5

MODENA: «Nel 1915, a Facoltà di Medicina con i suoi diciassette docenti ufficiali, quindici stabilimenti, ventidue aiuti e assistenti e quarantasei insegnanti liberi era la più piccola in Italia, dopo le due facoltà mediche sarde. Grazie, tuttavia, alla vicinanza del Manicomio di Reggio Emilia, la cattedra modenese di Psichiatria fu una delle migliori d’Italia, come testimoniano i nomi di Augusto Tamburini, Ernesto Lugaro e Arturo Donaggio e la presenza di corsi ufficiali complementari di Psichiatria forense e Psicologia sperimentale.»6

NAPOLI: fatta eccezione per la Sicilia, era l’unica università del Sud, pertanto con uno sterminato bacino d’utenza. «Un dato che sottolinea la posizione eccezionale di Napoli nel quadro delle università italiane è il fatto che tutti i professori chiamati ad insegnare alla Facoltà medica vi trascorsero il resto della loro carriera, ad eccezione di Gaetano Rummo, che però vi ritornò dopo dieci anni, e che le discipline obbligatorie furono impartite quasi esclusivamente da professori ordinari. L’insegnamento offerto raggiunse il suo apice tra il 1908 e il 1910, quando uno studente poteva scegliere tra un totale di 51 corsi ufficiali, molti dei quali inesistenti in altre università italiane e qui coperti, invece, spesso da ordinari. Furono inserite, inoltre, anche materie più “esotiche”, come Igiene navale o corsi sulle Malattie tropicali e sulla Medicina del lavoro. Va sottolineato, infine, che anche l’insegnamento privato ebbe a Napoli una luna tradizione. Associato all’alto numero di studenti, laureandi e collaboratori, ciò favorì la presenza, fin dall’inizio, di numerosi docenti liberi, che nel 1915 raggiunsero quota 345, quasi un quarto degli insegnanti liberi di tutta l’Italia.»7

PADOVA: «Al pari delle altre università dell’Italia settentrionale, anche la Facoltà medica di Padova, ricca di storia e di tradizioni, dispose fin dall’inizio di un buon numero di impianti scientifici, tra cui il primo Gabinetto italiano di Medicina legale e il primo di Patologia speciale chirurgica, allora chiamato “Chirurgia teorica”. Tra i docenti ufficiali vi furono molti scienziati validi, tra cui spiccano Dante Cervesato e Arrigo Tamassia, rispettivamente pionieri della pediatria e della medicina legale sperimentale, il fisiologo Filippo Lussana ed Edoardo Bassini, rinnovatore della chirurgia in Italia.»8

PALERMO: «con ventitré cattedre ufficiali, diciassette istituti medici, quarantaquattro aiuti e assistenti e novantasette insegnanti liberi, la Facoltà medica di Palermo si colloca nel 1915 al quinto posto tra le università italiane e il suo Gabinetto d’Igiene tra i più grandi d’Italia.»9

PARMA: «nel 1915 la Facoltà medico-chirurgica parmense ebbe diciassette cattedre ufficiali, un numero piuttosto basso. Fatta eccezione per un corso di Istologia e di Chimica clinica, non ci furono corsi complementari e questa lacuna non venne colmata nemmeno dai pochi insegnanti privati.»10

PAVIA: fino al 1923 l’Università di Pavia restò l’unica della Lombardia. In quell’anno, infatti la Riforma Gentile prendendo atto del livello scientifico e operativo assunto degli istituti clinici di perfezionamento per giovani medici voluti e sostenuti dall’insigne medico-ostetrico (quindi sindaco di Milano) Luigi Mangiagalli e della loro acclarata incompatibilità con la facoltà medica pavese, sanziona la fondazione di un’Università Statale. Sempre Milano nel 1863 aveva visto la nascita del Politecnico e nel 1902 dell’università privata Bocconi.

«Come tutte le università di prima classe, Pavia poteva offrire ai suoi studenti fin dall’inizio uno studio medico completo, integrato a partire dal 1900 con corsi di Istologia, Otorinolaringoiatria Chimica fisiologica, Odontoiatria e Batteriologia come si conviene ad una grande università. Sempre nel 1900, inoltre, fu fondata una cattedra ufficiale di Neuropatologia, presente fino ad allora solo a Roma, Torino e, per quattro anni a Palermo […]. Il tradizionale legame con il mondo scientifico austriaco e quello di lingua tedesca aveva in genere anticipato l’introduzione di molte discipline. Ma in seguito, Pavia non riuscì a mantenere tale ruolo. Le nuove assunzioni furono poche e i docenti scettici o perfino ostili ai nuovi indirizzi della medicina […] Un’eccezione è rappresentata da Cesare Lombroso, trasferitosi nel 1876 a Torino, e da Camillo Golgi. Grazie a quest’ultimo fu fondato nel 1877 il primo Gabinetto italiano di Istologia, che egli diresse a partire dal 1879 assieme al Gabinetto di Patologia generale, anch’esso il primo e, nel 1915, il più grande in Italia.» 11

PISA: la legge del 22 dicembre 1859 prevedeva dopo la laurea in Medicina a Pisa o Siena un biennio di abilitazione all’Istituto superiore di Firenze.

«Pisa fu accolta dalla legge Matteucci tra le università di prima classe e riuscì più tardi ad approfittare della irrisolta questione fiorentina, ottenendo la cancellazione dal Regolamento del 1876 dell’obbligo di iscrizione degli studenti pisani al terzo biennio a Firenze. Tra il 1883 e il 1885, infine, Pisa aggiunse al proprio Corso medico-chirurgico gli ultimi due anni rendendolo, così, completo. […] La cattedra di Psichiatria venne fondata solo nel 1905. Tra i docenti sono da segnalare Antonio Ceci uno dei più eminenti chirurghi italiani, e Guglielmo Romiti, rinnovatore assieme a Francesco Todaro dell’anatomia umana in Italia.»12

ROMA: nel 1915 la facoltà Medica di Roma contava 23 stabilimenti medici. «Spiccano la prima clinica italiana di Otorinolaringoiatria, la prima di Neuropatologia, il primo Gabinetto di Psicologia sperimentale e il più grande istituto italiano d’Igiene. Di rilievo fu anche la Clinica medica diretta da Guido Baccelli, la più grande d’Italia, nell’ambito della quale furono aperti laboratori e gabinetti per la Semeiotica, per le Malattie della nutrizione e per la Chimica e Microscopia chimica.»13

All’apice della propria espansione, nel 1909, la facoltà poté contare su trentasei corsi ufficiali, con un ampio spettro di insegnamenti complementari e specialistici. Nel 1915 furono affiancati da 228 insegnanti privati. «Numerosi sono i medici di grande fama che insegnarono a Roma: Francesco Todaro, rinnovatore dell’anatomia umana in Italia, Guido Baccelli, due volte Ministro della Pubblica Istruzione nonché uno dei più noti clinici d’Italia, i fisiologi Jakob Moleschott e Luigi Luciani, il chirurgo Francesco Durante, l’igienista Angelo Celli, il farmacologo Gaetano Gaglio e l’oculista Giuseppe Cirincione. »14

SASSARI: nel 1915 era di fatto la più piccola Facoltà medica d’Italia (pur con un ordine di grandezze non dissimile da Cagliari), con 15 insegnamenti ufficiali e 16 insegnamenti liberi. «[…] a partire dagli anni Novanta arrivarono a Sassari docenti medici provenienti da grandi “scuole”, come il patologo Livio Vincenzi, allievo di Guido Bizzozero, gli anatomisti Giunio Salvi e Giuseppe Levi, rispettivamente allievi di Guglielmo Romiti e di Giulio Chiarugi e Oskar Herwig, il fisiologo Gregorio Manca, allievo di Angelo Mosso, e l’igienista Claudio Fermi, allievo di Angelo celli e Max von Pettenkfer, che diedero un indirizzo più moderno all’insegnamento. Non va dimenticato, inoltre, l’apporto che il dermatologo Pio Colombini e soprattutto Angelo Roth seppero dare all’Ateneo sassarese.»15

SIENA: questa università si trovò in costante concorrenza con quella di Pisa. Secondo gli accordi presi all’epoca del Granducato di Toscana, le università di Pisa e di Siena potevano conferire solo lauree di primo grado. In seguito, gli accordi con il l’Istituto di Firenze obbligarono gli studenti di medicina e chirurgia a compiere nelle due università toscane solo i primi quattro anni del corso medico e a rivolgersi per gli ultimi due anni alla Sezione di Medicina e Chirurgia di Firenze.

A dispetto degli accordi, però, Pisa e Siena riuscirono a introdurre via via i corsi clinici specialistici necessari per assicurare la completezza dell’intero percorso didattico e scolastico.

All’entrata in guerra la facoltà medica «era all’incirca allo stesso livello di quelle di Parma e Modena e solo leggermente più grande di quelle di Cagliari e Sassari.»16

TORINO: «Negli anni Ottanta, con insegnati come Giulio Bizzozero, Piero Giacosa, Pio Foà, Angelo Mosso, Carlo Forlanini, Enrico Morselli, Luigi Pagliani, Edoardo Perroncino e Cesare Lombroso, Torino può essere ritenuta la Facoltà medica più all’avanguardia d’Italia. […] Successivamente Torino registrò un periodo di stasi o perfino leggero regresso. […] A partire dal 1901 la palma di seconda facoltà medica in Italia [dopo Napoli] passò da Torino a Roma. Degni di nota sono l’istituzione di cattedre di Neuropatologia e di Psicologia sperimentale, la prima in Italia, e l’ampliamento del Laboratorio di Fisiologia che diventò il maggiore in Italia. Negli ultimi anni prima della Prima Guerra Mondiale si nota di nuovo un notevole incremento e nel 1915 la Facoltà medica torinese si trovò con ventinove cattedre ufficiali, 106 liberi docenti, diciannove istituti medici e cinquantatré aiuti e assistenti.»17

PERUGIA: presso questa Università, accanto ad un Corso di Farmacia e uno di Veterinaria, era attiva nel 1915, una Facoltà medica, nella quale gli studenti potevano seguire lezioni valide per i primi quattro anni.

Le università di Pisa e di Siena potevano conferire solo lauree di primo grado. In seguito, gli accordi con il l’Istituto di Firenze obbligarono gli studenti di medicina e chirurgia a compiere nelle due università toscane solo i primi quattro anni del corso medico e a rivolgersi per gli ultimi due anni alla Sezione di Medicina e Chirurgia di Firenze.

A dispetto degli accordi, però, Pisa e Siena riuscirono a introdurre via via i corsi clinici specialistici necessari per assicurare la completezza dell’intero percorso didattico e scolastico.