Nuovi medici per lʼApocalisse dei corpi

1 - Nuovi medici per l’Apocalisse dei corpi

Le prime quattro spallate del generale Cadorna sull’Isonzo – da giugno a dicembre 1915 – avevano posto fuori combattimento quasi la metà degli effettivi delle divisioni italiane impegnate nella successione degli attacchi. La scienza medica d’anteguerra, che si era misurata con le ferite d’arma bianca e da palla di fucile, relativamente semplici e pulite, fu travolta dagli effetti di un’imprevista guerra ‘di posizione’ e logoramento. La maggior parte delle lesioni era provocata dalle nuove armi dell’artiglieria; ferite difficili da curare, perché le schegge causavano devastanti lacerazioni, spesso sporcate dai detriti del campo di battaglia, terribili veicoli per la gangrena gassosa, all’epoca ancora incurabile, poiché in una temperie pre-antibiotica, l’unica terapia preventiva all’insorgenza di possibili infezioni consisteva nell’amputazione degli arti.

La conquista effimera di pochi metri di terra diventava un’ecatombe, dalla quale tornavano uomini ‘a pezzi’ nel corpo e nell’anima. Il conflitto mise in campo inedite tecnologie con armi ad alto potenziale distruttivo. Fu una guerra di talpe, con soldati infossati per mesi nelle trincee, ma anche una guerra di aironi, con i primi rudimentali aerei a solcare minacciosi i cieli sui campi di battaglia d’Europa.1

Saliva pressante dal fronte e dal territorio la richiesta di medici; richiesta che i normali corsi universitari non erano più in grado di soddisfare: «A cominciare dai terzi anni i corsi universitari sono stati diradati; classi che contavano cento allievi sono ridotte a otto o dieci. Tutti gli altri sono soldati».2  

È questo lo sfondo drammatico sul quale proiettare la singolare sperimentazione della Scuola medica da campo di San Giorgio di Nogaro, impropriamente chiamata, almeno nella prima delle sue due stagioni di vita, Università Castrense: essa costituirà un esempio unico di formazione medica in zona bellica. Facendo ricorso all’accorgimento tecnico-didattico di improvvisare una scuola di Medicina nelle immediate adiacenze del fronte, il sistema militare-sanitario intese sia tamponare la grave falla sanitaria che si era aperta – generando sul campo e quasi in corsa contro il tempo una nuova classe di medici da restituire al fronte – sia risarcire i vuoti causati da un conflitto che stava sottoponendo il personale sanitario militare (già ab origine numericamente insufficiente) a un intenso e imprevisto logoramento. Alla fine della guerra, infatti, la percentuale dei caduti di Sanità sarà seconda solo a quella della fanteria, con 241 ufficiali medici caduti in combattimento e 309 per malattie contratte sul campo.

Tra febbraio 1916 e la primavera del 1917, in un arco temporale effettivo di circa otto mesi, la cittadina friulana nelle retrovie del Carso ebbe così la ventura di ospitare, in due successive sessioni, corsi accelerati di medicina e chirurgia che offrirono a 1.177 studenti universitari chiamati alle armi l’opportunità di continuare o completare (in presenza delle necessarie condizioni) i rispettivi percorsi scolastici, pur senza inibire, in concomitanza con le recrudescenze belliche, un loro tempestivo reintegro in prima linea.

Per alcuni aspetti l’intera vicenda può confluire anche nel grande alveo della Croce rossa italiana, poiché da quella vocazione assistenziale e da quella sensibilità culturale scaturirono l’idea, l’impianto organizzativo e parte considerevole del know-how didattico. Giuseppe Tusini, quasi cinquantenne e al fronte come volontario dal luglio 1915, fu l’ideatore e quindi il direttore della Scuola. Iscritto dal 1890 nelle forze della CRI, fu assegnato con il grado d’ispettore medico (tenente colonnello) alla Delegazione della III Armata, diventandone responsabile del secondo gruppo ospedaliero che aveva sede a San Giorgio di Nogaro. Quindici tra gli oltre cinquanta docenti, aiuti e assistenti nel primo anno della futura scuola appartenevano al corpo della CRI: è quindi in questo milieu che il progetto troverà l’autorevolezza per imporsi – quasi come un dirompente fatto compiuto sul piano burocratico e legislativo – nonostante un clima diffuso e prevalente di ostilità.  Sullo sfondo svolgerà un ruolo importante anche Elena d’Aosta, nella duplice veste di consorte di Emanuele Filiberto, comandante della III Armata (non a caso San Giorgio di Nogaro è territorio di pertinenza di questo schieramento militare) e di ispettrice nazionale delle crocerossine, strenua assertrice del valore della formazione sia per le infermiere di Croce rossa, sia per il più vasto sistema della Sanità Militare. Sarà lei stessa, nelle soste durante le ricognizioni al fronte, a frequentare e far tesoro degli insegnamenti della Scuola, tanto che una volta attivata la scuola castrense, nell’Aula Magna di legno di San Giorgio di Nogaro alle lezioni non era «raro veder seduta fra essi [gli studenti N.d.A.] una dama della Croce Rossa, giovanilmente bionda e sorridente, [seguire] la parola dei professori con molta attenzione: la Duchessa Elena d’Aosta».3  

2 - La questione strutturale: ufficiali medici ufficiali di complemento

Sul tema della genesi dell’Università Castrense, accanto alle ragioni legate all’oggettiva inadeguatezza numerica degli organici sanitari militari rispetto all’evoluzione degli scenari bellici (deficit che resterà una costante, anche se mitigato dai correttivi progressivamente assunti), di recente alcuni osservatori4 hanno posto l’accento anche su quella che è stata definita la «questione strutturale» che fa da sfondo alla vicenda, cioè la carenza nel numero degli ufficiali di complemento in rapporto all’universo delle truppe mobilitate. In tempi ‘normali’ la loro costruzione richiedeva la ‘ferma’ di un anno e un esame finale. Il sistema militare si affrettò a colmare i vuoti attraverso corsi accelerati di pochi mesi, cui poterono accedere anche i laureati e gli studenti universitari che, in ragione dei titoli scolastici avevano i requisiti per infoltire i ranghi degli ufficiali di complemento.

L’Italia sforna ufficiali a decine di migliaia […] Sono addestrati in fretta all’Accademia, li chiamano ‘corsi di corsa’ in poche settimane devono saper usare le armi, discutere di tattica, comandare un’azione, predisporre una strategia. Il primo e il secondo corso straordinario di Modena licenzia in tre mesi settemila sottotenenti tra laureati e studenti universitari: il fiore della futura classe dirigente. […] Ora quei giovani hanno nelle loro mani la vita di uomini maturi che hanno lasciato a casa famiglie numerose. Provengono dalla borghesia, ne riflettono i pregi, ma anche l’arretratezza e l’incapacità di esprimere un esercito moderno al passo con la tecnologia. Una cultura umanistica deve trasformarsi in fretta in una cultura tecnica. Per ogni ingegnere ci sono tre avvocati.5

In effetti, nel corso della guerra il numero degli ufficiali in servizio attivo non avrebbe registrato aumenti abnormi: da 26.000 iniziali a 32.000 a fine conflitto.  Ci fu, invece, una vera e propria ‘deflagrazione’ nel numero degli ufficiali di complemento, passati da appena 15.000 a 105.000, costruiti in fretta dalle scuole militari di Modena, Parma, Caserta e dall’Accademia militare di Torino, dalla Scuola bombardieri di Susegana e da quella ‘aviatori’ (in questo contingente di ufficiali intermedi faranno successivamente immessi anche i laureati e gli aspiranti ufficiali medici dell’Università Castrense). Accadeva, infatti, che molti studenti delle classi mobilitate iscritti a Medicina e Chirurgia, mancando nella fase iniziale del reclutamento corsie privilegiate d’inquadramento consone al loro specifico status scolastico, a fronte della prospettiva di venire aggregati genericamente come sottoufficiali o soldati alle sezioni di sanità, scegliessero di frequentare i corsi accelerati di fanteria riservati agli ufficiali di complemento, con il risultato di ridurre ulteriormente un possibile bacino di reclutamento degli ufficiali medici.

3 - Corsi «di corsa»

Il reclutamento di personale medico in grado di misurarsi con gli scenari repentinamente prefiguratisi, rappresentò un nervo scoperto dell’organizzazione militare durante tutto il periodo di guerra. Il problema fu affrontato con diverse modalità, necessariamente privilegiando – in ragione dell’emergenza – il dato quantitativo. Già una circolare del 30 agosto 1912 sanzionò l’abolizione dei corsi per allievi ufficiali medici e veterinari di complemento, prevedendo la nomina automatica degli aspiranti a sottotenenti, vincolandoli alla frequenza – come allievi ufficiali – di un primo corso di soli quattro mesi presso la propria scuola e di un secondo corso, di carattere pratico, della durata di tre mesi, presso una sezione di sanità. Acquisita l’idoneità, sarebbero stati immediatamente inviati ai corpi di prima linea. Dal 1914, inoltre, si fece ricorso alla sospensione dei limiti di età per il congedo dei medici e si procedette al generalizzato arruolamento nel servizio sanitario di ausiliari, subalterni e anche soldati semplici forniti dell’adeguato titolo di studio. Tra la fine del 1914 e l’inizio del 1915 furono banditi tre concorsi per 160 posti di tenente medico, ma la tiepida risposta dei concorrenti non bastò a coprire per intero il contingente previsto dai bandi.

Durante la «mobilitazione occulta», i Regi Decreti del 28 marzo e 29 aprile 1915 introdussero una corsia privilegiata per la nomina a ufficiali medici e veterinari di complemento dei militari di 1°, 2°, 3° categoria, laureati in medicina (e veterinaria) di età non superiore ai quarant’anni, anche senza il corso preventivo e successivo (rispettivamente della durata di quattro e di tre mesi) alla nomina. Con i Decreti del 13 e 25 maggio 1915, all’universo degli ufficiali in congedo di ogni arma o specialità e in possesso della laurea in medicina o chirurgia fu concessa la ’possibilità di poter transitare tout court al corpo della Sanità Militare. A livello di battaglione fu inserita ex novo una categoria speciale in posizione intermedia tra gli ufficiali e i sottoufficiali: quella degli aspiranti ufficiali medici, aventi quali requisiti d’obbligo un’età inferiore ai trent’anni e il superamento degli esami del quarto anno universitario con la frequenza ai successivi due, pur senza averne sostenuti tutti gli esami; costoro furono cooptati «al servizio reggimentale, onde coadiuvare gli ufficiali medici ed eventualmente sostituirli nei battaglioni».6 Per far fronte alle pressanti richieste di sanitari fu attivata una drastica revisione di esoneri e “riforme”, mentre fu progressivamente estesa la chiamata alle armi anche ai medici “più anziani”, fino alla classe 1870 (45 anni).

Con gli interventi indicati i 794 ufficiali medici, 1744 di complemento e 802 di milizia territoriale in forza all’esercito nel 1914, a maggio 1915 diventarono rispettivamente 882, 2907 e 1447; con questi numeri la Sanità Militare si trovò d’acchito ad affrontare l’entrata in guerra.

Questi provvedimenti, tuttavia, non riuscirono ad assicurare il servizio sull’estesissimo fronte, nelle retrovie e su tutto il territorio nazionale (si rischiava un ulteriore indebolimento delle strutture sanitarie civili, dagli ospedali alle condotte dei paesi). Aumentando in modo esponenziale anche i bisogni della popolazione civile a causa di carenze alimentari e malattie, la radicalità dei provvedimenti straordinari dovette essere temperata da altre dispense ed esoneri e dall’impiego intensivo di personale della Croce Rossa e – in misura quantitativamente non comparabile – degli uomini e mezzi dell’Ordine di Malta, dei Santi Maurizio e Lazzaro, della Compagnia di Gesù, della Congregazione salesiana e di molti altri sodalizi di volontariato laico e religioso.

4 - Studenti-soldato al bivio: lo studio o la guerra?

Se nei conflitti del passato i medici erano stati figure marginali rispetto all’organizzazione militare, nelle guerre moderne, e con particolare enfasi nella Prima guerra mondiale, essi assunsero giocoforza un ruolo di grande centralità, e i servizi sanitari militari diventarono un elemento qualificante e differenziante degli eserciti contrapposti:

Guerra moderna significa anche guerra di servizi, e tra questi il servizio sanitario. Se la guerra di Crimea, col suo seguito di micidiali epidemie, era stata forse l’ultima a presentare uno scenario tipicamente premoderno, a partire dalla guerra civile americana si cominciò ad assistere dovunque a un potenziamento di tali servizi, mentre cresceva l’enfasi sul ruolo dei medici nelle compagini militari.7

La logica imperativa e totalizzante della guerra di posizione, inoltre, spinse a concentrare molti organismi e funzioni nelle vicinanze delle linee di combattimento, per potervi attingere con immediatezza nei momenti dell’acutizzarsi delle emergenze belliche. Persino una parte dell’attività auto-formativa dell’Esercito – sopravvissuta alla cogente priorità delle armi – fu decentrata e praticata in prossimità del teatro di guerra.  Alla vigilia del conflitto, ebbero termine anche i corsi della Scuola di sanità e veterinaria militare di Firenze e i suoi ufficiali allievi, con buona parte del personale furono inviati al fronte. 

Così, già dall’estate 1915 il potere politico e quello militare si trovarono al bivio tra due logiche divaricanti: da un lato il crescente bisogno di nuovo personale sanitario immediatamente spendibile a supporto delle linee di guerra. Dall’altro, la stasi del sistema scolastico istituzionale nel generare potenziali giovani medici di rincalzo fra i propri studenti, nella quasi generalità appartenenti alle classi di leva e quindi già largamente impiegati in zona di guerra quale indispensabile supporto ai medici della Sanità Militare. Tuttavia, solo portando a termine il loro ciclo di studi, i soldati ‘aspiranti-medici’ avrebbero potuto acquisire il titolo giuridico implicato dalla laurea e indispensabile per far fronte alle «non trascurabili responsabilità medico-legali»8 connesse al lavoro sanitario al fronte.

5 - Un provvedimento-tampone: il Decreto Luogotenenziale n. 1489/ 28 settembre 1915

Un primo provvedimento in qualche modo risarcitorio della brusca cesura dei percorsi scolastici causata dalla guerra, fu assunto dal Decreto Luogotenenziale n. 1489 del 28.9.1915, che sanzionava lo scorrimento automatico all’anno di corso successivo per gli studenti in forza all’Esercito, previa iscrizione d’ufficio – con correlato esonero dalla frequenza – all’anno scolastico 1915-1916.

I giovani, i quali si trovino sotto le armi per la presente guerra, sieno inscritti all’anno di corso successivo a quello in cui erano inscritti nell’anno 1914-1915 nelle Università o negli altri istituti di istruzione superiore.

Gli studenti così inscritti sono esonerati, per la durata della guerra, dall’obbligo di frequenza alle lezioni ed alle esercitazioni […] e saranno quindi ammessi senz’altro, a sostenere, a suo tempo, tanto gli esami speciali di cui fossero in debito per gli anni di corso precedenti quanto quelli per l’anno al quale sieno ora inscritti.9

6 - Si apre una corsia privilegiata per gli studenti del 6° anno: il Decreto Luogotenenziale n. 1768 / 28 novembre 1915

Di seguito, il ministro della Pubblica Istruzione Pasquale Grippo elaborò una nuova soluzione legislativa ai fini di restituire alle università d’origine tutti gli studenti del 5° e 6° anno di Medicina che si trovavano al momento sotto le armi, per dare loro la possibilità di frequentare un corso accelerato di studi della durata di quattro mesi scarsi. Tale progetto fu, come di prassi, sottoposto al vaglio del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione in alcune sedute che si svolsero a Roma tra il 28 ottobre e il 7 novembre 1915, sortendo alla soluzione di compromesso del Decreto Luogotenenziale n. 1768 del 28 novembre 1915,10 che, mentre apriva la corsia preferenziale agli studenti del 6° anno, la inibiva a quelli del 5°.

Assodata la necessità «nelle circostanze presenti, di rendere più rapido il conseguimento della laurea professionale agli studenti inscritti al sesto anno della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università», il Decreto sanzionava l’adozione di «provvedimenti eccezionali in deroga alle disposizioni vigenti», abbreviando la durata dei corsi del sesto anno di Medicina e chirurgia per l’anno 1915-1916 in tutte le Università del Regno (dal 6 dicembre 1915 al 21 al marzo 1916) e abolendo la pausa canonica per le festività natalizie. Il corso si sarebbe articolato in un minimo di 50 lezioni comprese le esercitazioni pratiche. Alla frequenza erano obbligatoriamente vincolati: «tutti gli studenti iscritti al sesto anno della Facoltà di medicina e chirurgia, siano militari o no, e gli inscritti al quinto anno della stessa Facoltà».11 L’obbligo della frequenza era dunque esteso all’intera platea degli studenti (militari e non, poiché era tutto il territorio nazionale ad avere fame di medici) che avevano già in corso il sesto anno e a quelli del quinto, che avevano avuto accesso al sesto con il nuovo anno accademico 1915-’16, poiché in forza del precedente decreto il servizio militare consentiva l’automatismo della progressione temporale del corso degli studi.

Al termine delle lezioni, per gli studenti del sesto anno era previsto l’accesso alla «straordinaria sessione degli esami speciali e di laurea» fissata perentoriamente tra il 22 marzo e il 6 aprile 1916, («Agli studenti militari è fatto obbligo di presentarsi tanto agli esami speciali quanto a quelli di laurea, mentre per gli studenti non militari del 6 anno resta facoltativo di dare in questa sessione sia esami speciali sia quello di laurea»).12 Mentre agli studenti non militari del sesto anno che non avessero conseguito la laurea entro il 6 aprile, veniva concesso un supplemento di lezioni, calendarizzate dal 6 aprile al 15 giugno 1916. Per questa seconda tranche temporale ai docenti era data libertà «d’impartire quel numero di lezioni che riterrà adeguato al programma da svolgere».13

Il decreto fu pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 24 dicembre 1915, mentre le lezioni sarebbero dovute iniziare il 6 dicembre: una sfasatura temporale che tradiva tutta la concitazione dell’emergenza e rendeva problematica l’osservanza della tempistica ipotizzata, in particolare il conseguimento delle lauree entro la data del 6 aprile 1916.

7 - Tra color che son sospesi: studenti del 5° anno, che fare?

Con la consueta lucidità, così Giuseppe Tusini inquadrava il problema:

Da tale concessione [il percorso breve previsto dal decreto del novembre 1915] rimanevano esclusi gli inscritti al 5° anno di medicina e quegli studenti del 6° che, per ragioni militari, non avevano potuto usufruirne in tempo utile, ma che forse allora si sperava avrebbero potuto completare gli studi in un’epoca non molto lontana. Chiunque però viveva fra le truppe, vedendo tutti i lavori di stabile apprestamento guerresco che si andavano dovunque sempre più estendendo e consolidando, era tratto forzatamente a pensare all’eventualità di una risoluzione non molto prossima della guerra e quindi alla grande possibilità che questi giovani, abbandonati più a lungo a sé stessi, non avessero potuto proseguire che molto tardi i loro studi, già quasi da un anno interrotti. L’Esercito allora sarebbe stato nell’impossibilità di fare affidamento sopra un numero sufficiente di persone tecniche indispensabili al servizio militare, se non sottraendo una quantità sempre maggiore di medici al servizio civile già troppo assottigliato.14

Restava quindi ancora scoperta la residuale ma ampia casistica di militari studenti del biennio terminale di Medicina, dei quali l’Esercito intendeva disporre in piena legalità per le crescenti urgenze del servizio sanitario di guerra; ciò implicava anche il tema dei pregressi scolastici di molti studenti, il cui libretto era generalmente gravato da un forte carico di esami inevasi anche (ma non solo), a causa della mobilitazione che aveva compromesso il normale avanzamento negli studi. Si rendeva pertanto evidente:

[…] La necessità di coordinare subito e quanto meglio fosse compatibile colle impellenti esigenze della guerra, l’educazione tecnica precipuamente degli studenti del 5° anno, come quelli che avendo acquisite le nozioni fondamentali del quadriennio nelle loro Università, anche se non avevano potuto dare tutti gli esami, sarebbero stati in grado di completare normalmente l’anno successivo, in pace od in guerra, la loro carriera scolastica, se fino d’allora fossero stati sottratti ad una lunga e pericolosa discontinuità negli studi.15