Tra murales, fontane e le eccellenze dello sport

Chiarisacco, Zellina, i Galli, Villanova, Zuccola

Si pensa spesso che le frazioni o le località che fanno parte di una cittadina siano periferia, luoghi distanti dal cuore pulsante del centro, di poco interesse. Che, in sostanza, risultino appendice. A San Giorgio di Nogaro, al contrario, le frazioni sono un continuum, non c’è apparente distacco, né geografico né emozionale. Si può immaginare un percorso che inizia dalla piazza principale di San Giorgio e, senza nemmeno accorgersi, ritrovarsi a Chiarisacco o a Villanova. E, nonostante questo, essere catapultati in un mondo diverso, con una sua autonomia e con le proprie specificità.
Il termine periferia deriva dal greco peri (intorno) e pherein (portare): un “portare intorno” che sembra collegarsi perfettamente alla vocazione di scambi e passaggi che segna questo territorio, come a indicare che i dintorni possano diventare essi stessi protagonisti, centro a loro volta di qualcosa.
Questo itinerario ci porta a cogliere il profumo dei campi, a intersecare il fiume Corno in più punti, alzare lo sguardo per ammirare i murales e chinarsi per bere dalle numerose fontane. Ma non solo: inforcare la bicicletta per puntare verso Torviscosa su strade bianche, in mezzo ad acqua e boschi, fare un tuffo nel passato e nella grande Storia con le vicende che sfiorano la Prima e Seconda guerra mondiale o sostare nei luoghi dello sport per comprendere fino in fondo che questa terra esprime valori di livello nazionale e internazionale anche grazie alla canoa, alla scherma, al calcio.

Imboccato il sottopasso nei pressi della stazione dei treni, ci dirigiamo verso Porto Nogaro e, prima di arrivare nel centro del paese, seguiamo l’indicazione che ci porta a Villanova svoltando a sinistra. Villanova è menzionata per la prima volta in un documento del 1274 per essere stata assegnata in feudo dal patriarca di Aquileia. La “nuova villa” discende quindi dalla ripresa demografica e delle attività all’alba del nuovo Millennio con l’imponente opera di dissodamento dell’area.
Anche questo percorso asseconda l’uso delle due ruote, incentivato dalla recente inaugurazione di una pista ciclabile che corre parallela alla strada. È un itinerario, anche se percorso su asfalto, a basso impatto di traffico e quindi l’ideale per chi vuole passare un paio d’ore all’aria aperta. Superato il ponte sul Corno, troviamo alla nostra destra la chiesa di Villanova di recente costruzione (1933), ma che riprende il titolo di San Floriano martire da una precedente chiesetta, eretta attorno al 1464 ora demolita. L’edificio antico sorgeva all’interno di quello che era il cimitero e presentava un coro affrescato con le immagini dei quattro evangelisti. A partire dal 1945, la chiesa fu sconsacrata e utilizzata come aula scolastica per i bambini della frazione. L’attuale chiesa di San Floriano, nell’architettura quasi spontanea del suo involucro di mattoni faccia-vista, crea un unicum omogeneo con gli edifici del piccolo borgo e svela negli affreschi al proprio interno le qualità artistiche del pittore sangiorgino Silvio Pavon, mentre in anni più recenti la sua facciata è stata arricchita dal rosone vitreo del figlio di Silvio, Andrea Pavon.
Seguiamo la strada principale che piega a destra e dopo un paio chilometri circa si apre il Centro Canoa, vera e propria eccellenza a livello internazionale. Possiamo entrare per qualche minuto e affacciarci sul fiume Corno che qui è campo di gara. Da questa prospettiva abbiamo sullo sfondo la zona industriale e possiamo scorgere la torre della ex Montecatini. Il fiume scorre placido, all’apparenza quasi privo di corrente, pronto a gettarsi nel mare dopo qualche chilometro. Alcuni ragazzi in canoa si allenano e sfilano con leggerezza sull’acqua. È un punto di osservazione pieno di contrasti, come spesso accade, ed è questo che rende affascinante il luogo.
Di fronte al Centro Canoa c’è un parcheggio attrezzato per la sosta dei camper con tutto quello di cui necessita un viaggiatore in movimento sulle quattro ruote.
Proseguiamo lungo la strada. Ora le case si diradano fino a lasciare completamente spazio alla campagna. Alla biforcazione, oltrepassiamo il ponte e prendiamo a sinistra la strada bianca che costeggia da un lato un piccolo corso d’acqua e dall’altro un bosco planiziale denominato Ronc di Sass. È la via che ci condurrà fino a Torviscosa, paese di grande interesse, soprattutto per l’assetto urbanistico e architettonico tipico del Ventennio fascista, e con una storia legata in maniera indissolubile alle risaie, alle bonifiche e alla fondazione di una grande fabbrica per la produzione di cellulosa. Torviscosa fece parte del territorio amministrativo di San Giorgio di Nogaro fino al 1940, quando divenne autonomo.
La strada bianca, ben battuta, è ideale per un piccolo viaggio in bicicletta o semplicemente con i piedi che calpestano la ghiaia e l’erba. Ora appare tutto lontano, le case, le industrie, gli uomini. Ci si tuffa in una dimensione fatta di silenzio e alberi. Vengono in mente le parole di Romano Battaglia che, nel suo libro Il fiume della vita, scrive che «spesso, vivendo, commettiamo un altro errore: camminiamo troppo in fretta, senza gustare né vedere le piccole grandi cose dell’esistenza. Non bisogna essere ansiosi di arrivare: non sappiamo, e mai sapremo, che cosa ci riserva il destino». È proprio attraversando questi luoghi che la lentezza e il camminare acquistano significato, anche se non siamo sulla cima di una rinomata montagna, lungo un famoso cammino o in mezzo alla foresta. È questo il segreto di un vero viaggiatore: trovare il proprio angolo di paradiso appena fuori dal cancello di casa, a pochi passi dal quotidiano. E guardare il mondo con occhi nuovi, con la curiosità bambina di giocare con la terra e le radici e trasformarle in simboli di avventure e viaggi. Esplorare il bosco che abbiamo a pochi metri di distanza, sedersi sulla riva del fiume, lasciare che i passi ci conducano verso mete a noi sconosciute: questo è forse il senso più forte di vivere e calpestare la propria terra.
Svoltando a sinistra e proseguendo lungo la strada bianca, si torna verso il centro di Villanova. Nei pressi dell’incrocio, dove è posta una piccola edicola votiva, ci si imbatte nella storica trattoria da Maria, un punto di riferimento per sostare per un pranzo veloce o bere un bicchiere di vino.
Prendiamo la strada a destra, superiamo prima i binari della nuova ferrovia e poi quelli della vecchia. Oltrepassati, entriamo nell’abitato di Chiarisacco che si sviluppa, soprattutto, oltre la strada statale. All’incrocio con quest’ultima, quindi, giriamo a sinistra in direzione dell’abitato di San Giorgio. Il toponimo racconta molto, e, in questo caso, è privo di interpretazioni derivando dal romano “Carisius” unito al suffisso gallo-latino presente in molti nomi di luogo friulani. “Podere di Carisio”, quindi, una delle tante gastaldie rurali del passato che mostra, nei rilevamenti catastali del XIX secolo, una curiosa divisione in due parti: Chiarisacco e Zuccola. Come mai? Semplice: il Corno, come molti fiumi nel corso del tempo, ignora i confini dell’uomo, non asseconda il circoscrivere e il delimitare territori, ma è libero di mutare il suo corso, scherzare con l’effimera volontà di separazione dell’essere umano.
All’imbocco di via Chiarisacco, proprio ai margini della statale, troviamo una fontana molto particolare, quella della cosiddetta aghe clope, che conferma come in tutta la zona di San Giorgio di Nogaro sia diffusissima la presenza delle fontane, una caratteristica dell’intero territorio.
È sufficiente alzare lo sguardo sui piani alti delle case di Chiarisacco per accorgersi della presenza di numerosi murales che affrescano i muri. Guardare la parte alta degli edifici di un paese, come di una città, spesso è sinonimo di scoperta di una prospettiva altra, ci offre un punto di vista che si scosta dal nostro quotidiano guardare il mondo. I murales, realizzati su iniziativa del Circolo Culturale Chiarisacco, che ha invitato numerosi artisti ad affrescare i muri delle case, colorano la via principale della frazione. Volti di donne, pesci, figure in mezzo alle nuvole, paesaggi nella natura, finestre colorate, animali che assurgono a simbolo, agane, disegni che rappresentano alcuni episodi legati alla religiosità, fanno di questa strada una soggettiva esplorazione che ogni viandante può cogliere per collegare simboli e affreschi a chissà quali mondi.
Sempre il circolo culturale realizza da moltissimi anni il suggestivo “Presepe sui laghetti” nel contesto paesaggistico e naturale del parco del fiume Corno. Ogni anno viene ricercata una rielaborazione e rilettura dell’idea classica del presepio. Di notte, con le luci e il riflesso dell’acqua, l’opera curata, da ultimo, dall’architetto Paolo Morettin assume un fascino tutto particolare e risulta ben visibile per chi guida lungo la statale 14. Un appuntamento ormai consolidato per tutta la comunità e che vede la partecipazione attiva degli alunni delle scuole dell’infanzia, l’utilizzo di diversi materiali, il coinvolgimento di molte famiglie di Chiarisacco.
Se proseguiamo lungo via Chiarisacco, sulla sinistra possiamo notare una grande costruzione con una torre che spunta sul retro: Villa Montegnacco.
Nell’articolo Di Montegnacco. La mia famiglia paterna, contenuto nell’Annuario del 2010 curato dall’Associazione Culturale Ad Undecimum, la nipote di Guglielmo di Montegnacco, Anna, racconta la genesi e gli interni dell’edificio. «Nei primi anni del Novecento mio nonno acquista un terreno grande per i canoni d’oggi, minimo per l’epoca, di circa 7-8000 metri quadrati per una grande villa, l’orto, il giardino, un campo per coltivare il granoturco e per stalle e dépandances. Non mi sono mai chiesta come e dove abbia trovato i soldi per fare ciò, ma l’ha fatto e l’edificio era nonostante tutto abbastanza imponente, con grandi finestre complete di fregi, stanze di 25 mq., una per ogni figlio, più quella dei genitori, 8 in tutto, e poi un salotto, una camera da pranzo, lo studio del nonno, l’enorme cucina con pranzo per tutti i giorni e la dispensa, detta cantina, di grandi dimensioni. Tutto ciò su due piani, più il terreno, con un’ampia galleria che lo divideva in due, coronato da una torretta completa di merli».

Guglielmo e la moglie Anna Chiaruttini, di estrazione popolare, ebbero sei figli, cinque femmine e un maschio, Max (il padre di Anna). A quest’ultimo il Comune di San Giorgio ha dedicato una via per onorare gli atti di coraggio compiuti durante la Prima guerra mondiale.
Così, anche se si percorre la via al giorno d’oggi, la mente va a inizio secolo e ci si immagina la vita del nobile Guglielmo e della moglie Anna divenuta contessa, le voci dei loro sei bambini che riempivano l’aria, in un gioco che fa rivivere storie d’altri tempi.
Da Chiarisacco proseguendo su via Emilia in direzione Torviscosa, sulla sinistra c’è via Paluduz e non appena imboccata la via circa cento metri più avanti si trova la chiesetta votiva dei Maran costruita nel 1917. Durante la Prima guerra mondiale il terreno e il caseggiato di proprietà dei Maran furono requisiti dai militari per allestire il grande ospedale da campo n. 234. Considerati gli scontri sanguinosi e le numerose vittime, si rese necessaria la costruzione di una cappella dove tributare l’estremo saluto ai soldati che morivano nonostante le cure dei medici dell’Università Castrense, o più semplicemente dove raccogliersi in preghiera. I Maran, alla fine del conflitto, si ritrovarono con un luogo che si era fatto custode di preghiere, richieste di grazia, pathos e spiritualità, come ricorda anche il recente timpano musivo realizzato sul piccolo portale d’ingresso dall’artista Andrea Salvador, dove la figura del Cristo morto tra le braccia di Maria è sostituita da quella di un militare italiano. Dal mosaico si irraggia un messaggio di speranza: oltre il manto della Vergine sorge un sole chiarissimo che fa da sfondo al volo di una colomba. Ancora oggi al suo interno si celebra qualche messa e la cappella è in ottime condizioni.
La frazione di Chiarisacco è legata, oltre che alla Prima guerra mondiale, anche alla Seconda, perché è stata teatro di importanti azioni di lotta partigiana.
Pierluigi Visentin, scrittore e storico sangiorgino, nel suo libro Romano il Mancino e i Diavoli Rossi raccoglie la storia del gruppo che divenne protagonista dell’assalto alle carceri di Udine. Capo di questo gruppo era Gelindo Citossi di San Giorgio di Nogaro (nato nella frazione di Zellina), sesto di nove fratelli, che aveva perduto l’uso del braccio sinistro. I Diavoli Rossi era un gruppo di una ventina di “gappisti” che operava nella Bassa friulana e Romano il Mancino guidava imboscate, sabotaggi, eliminazioni di spie. Le azioni del “Mancino” vanno inserite in un periodo di forti contrapposizioni e in un passaggio della Storia alquanto delicato, in cui le singole vicende andrebbero sempre contestualizzate e storicizzate.
A Villa Dora, al piano superiore, è possibile visitare una mostra permanente dal titolo La guerra di Angiolino. Fatti di guerra e di Resistenza visti con gli occhi del cantastorie-pittore di San Giorgio di Nogaro Alfonsino Filiputti. Fin da piccolo, Alfonsino detto Angiolino Filiputti (1924-1999), dimostra grande passione per la pittura, in modo particolare lo affascinano i soggetti marini. Dopo le Elementari è costretto ad abbandonare gli studi, ma continua a dipingere con passione. Quando scoppia la guerra, nella fantasia di Angiolino i ricordi dei romanzi di avventura si mescolano ai racconti dei marinai, e così incomincerà l’avventura di questo pittore autodidatta che illustrerà le vicende della guerra e della Resistenza (in particolare nella Bassa friulana) in 364 tempere.
Anche qui la Grande Storia ha fatto il suo corso: il fiume e i ponti che oggi appaiono a camminatori e viandanti come luoghi imperturbabili, lontani dalle grandi questioni del mondo, sono stati, in realtà, teatri di guerre e lotte che hanno segnato il Novecento e il nostro destino.
Proseguendo, si arriva a una piccola rotonda che, tenuta la sinistra, ci immetterebbe sulla strada che porta nell’abitato del comune di Porpetto. Percorrendo la via a ritroso e ripresa la statale verso destra, dopo qualche centinaio di metri, ci si trova, senza nemmeno accorgersi, nella piccola località di Zuccola, che ai tempi della Serenissima era un’enclave veneta in territorio imperiale. Zuccola deriva dal friulano zùc o cùc che indica un terreno elevato: infatti, nei pressi della Corgnolizza, fino alla fine degli anni Sessanta, esisteva un rialzo del terreno. Pare che in tempi antichi esistesse un castelliere e successivamente, in epoca romana, un edificio in muratura.
Testimonianza del dominio veneto è la chiesetta di San Marco (santo protettore di Venezia) eretta nel XV secolo. La costruzione è semplice e lineare; la facciata contiene un rosone raffigurante San Marco e il leone ed è opera dell’artista Andrea Pavon. L’interno si articola in un unico spazio senza presbiterio con travi a vista. La tradizione attribuisce all’evangelista Marco (molto vicino a san Pietro), la prima evangelizzazione del Friuli; per questo il suo ricordo è ancora molto vivo e fonte di narrazioni leggendarie. Si dice, infatti, che il Pietro, facendo rotta da Alessandria d’Egitto verso Aquileia, fu sorpreso da una fortissima tempesta. Pregò allora Dio, che trasformò la tempesta in un arco multicolore: l’arcobaleno, come un ponte tra cielo e terra che in friulano è detto, appunto, Arc di San Marc. Come altri santi, molto presenti nell’immaginario popolare, San Marco accompagna le anime dei defunti nell’Al di là, per cui nella Bassa friulana è ancora in uso la locuzione: «Al le lât cun San Marc» per dire che una persona è morta.
Lasciando alla nostra destra la chiesetta e proseguendo dritti, si presenta alla nostra sinistra la Corgnolizza. Allo stop ci dirigiamo verso sinistra e quasi subito svoltiamo a destra, passando accanto alla nuova Casa dell’acqua. Intravediamo un impianto sportivo e seguendo la strada ci troviamo di fronte a campi da calcio, una palestra dedicata alla scherma, il palazzetto dello sport. Sport, appunto, che a San Giorgio di Nogaro è elemento primario della vita cittadina e fucina di talenti in vari settori.
Invece di riprendere subito la statale 14, proseguendo dritti il nostro cammino oltre gli impianti sportivi, ci avviciniamo, senza incrociare troppe automobili, alla frazione più lontana del comune di San Giorgio: Zellina. Il toponimo proviene dallo sloveno celìna, vale a dire “terreno incolto”, e attribuisce ai laboriosi contadini balcanici il merito di aver ripopolato e coltivato un’area devastata dalle scorrerie ungariche. Ma è bello anche pensare che Zellina sia l’appellativo di un’antica principessa appartenente a una tribù nomade, morta in questa zona e sepolta nel fiume che ha preso il suo nome. Entrambe le storie, vere o false che siano, si legano a questa zona segnata dalla vocazione di partenze e ritorni, di marinai e navi, di passaggi continui di persone provenienti da lontano.
Come si legge nel libro di Pierluigi Visintin già citato in precedenza, a detta del più giovane dei fratelli Citossi, la loro famiglia e gli Sguazzin venivano dal Montenegro: «Lo diceva mia nonna Rosa Citossi. Infatti il bosco di Zellina si chiama bosc dai zingars perché la carovana pare abbia sostato proprio in quel pezzo di terra». Forse è un’interpretazione storicamente non corretta, ma estremamente significativa da riportare perché richiama, ancora una volta, come anche l’immaginario popolare leghi la vicina Zellina alle lontananze dei paesi dell’Est. E davvero indietro nel tempo affondano le origini di questa località: numerosi reperti archeologici ritrovati di recente lungo il corso del fiume Zellina sono testimonianza di insediamenti databili all’Età del Bronzo.
Svoltando in direzione sud nei pressi dell’incrocio sulla statale 14 (la strada speculare verso nord ci porterebbe, invece, nell’abitato di Pampaluna, in comune di Porpetto), raggiungiamo la località Galli.
Il toponimo Galli, e in particolare il nome friulano Giai/Gjâi, deriva, con tutta probabilità, dalla rielaborazione della parola longobarda gahagi, che significa terreno chiuso, riservato ai nobili. Non vi è perciò un richiamo alle popolazioni dei galli carni, di stirpe celtica, precedenti ai romani, come qualcuno ha erroneamente pensato, ma un più verosimile legame con il vocabolo longobardo indicante la zona silvestre (Bosc dai Gjai) un tempo disboscata per far posto alle abitazioni.
C’è una leggenda popolare, che molti anziani raccontano ancora, che vede i galli, popolo pacifico e laborioso, stanziarsi qui dopo aver attraversato le Alpi. Di loro e del loro passaggio resterebbero solo tracce, bassi muri e frammenti di pentole, che i cacciatori, prima della canalizzazione del fiume Zellina, potevano scorgere fra le canne e il fango.
E anche se quest’ultima versione non è storicamente fondata, forse nella saggezza degli anziani si nasconde qualcosa di verosimile. Per un viandante è suggestivo pensare che, prima di lui, altri viaggiatori e altri popoli abbiano calpestato la stessa terra.

Luciano Morandini, grande scrittore e poeta di origine sangiorgina, nella sua poesia “Incontro con paesaggio” contenuta nella silloge Camminando Camminando racconta con la potenza dei versi i profumi, i suoni, i sapori di questi territori:

Boschi prati magri a mezzogiorno
trifogli mediche altissima avena
nei sacchi odore di carrube
fichi nei cortili e prugne
tintinnio di secchi
ho sognato quell’aria della Bassa
mi sussurra
appoggiato al vecchio portone
ricordo tappeti di mughetto
e un nome straordinario
Pampaluna
regina dei pescheti

Sul pelo dell’acqua

La Società Sportiva nasce nel 1965 in seno al Dopolavoro Ferroviario sangiorgino presieduto da Oreste Indri. La prima sede viene individuata in un capannone installato a Porto Nogaro e le imbarcazioni vengono recuperate dalla Libertas di Capodistria, nel frattempo trasferitasi a Trieste, e sistemate presso l’impresa Taverna e il Genio Pontili. Risale al 1968 il riconoscimento della società da parte della Federazione Italiana Canottaggio. Nella seconda metà degli anni Settanta si intensificano i tentativi di far conoscere maggiormente ai sangiorgini questa pratica sportiva passano attraverso l’organizzazione di corsi specifici. I risultati non tardano ad arrivare: gli anni Ottanta registrano le prime vittorie nelle competizioni nazionali, mentre canoa e canottaggio diversificano, all’interno dell’associazione, i direttivi. Il 4 ottobre 1986 iniziano i lavori che consegneranno alla società il nuovo centro polivalente intitolato a Remo Cristofoli. Successivamente la società si stacca dalla gestione amministrativa del Dopolavoro Ferroviario e diventa autonoma con il nome “DLF Canoa San Giorgio”. In un successivo momento decade anche la dicitura DLF e si modella l’attuale “Società Canoa San Giorgio”. Nell’’89 riceve la Stella di bronzo al merito sportivo del CONI.

Il paese delle fontane

Il paese dell’acqua. Così veniva descritto nei primi anni del Novecento San Giorgio di Nogaro. E in effetti tutto il territorio della Bassa friulana è ricco di corsi d’acqua. Il fiume Corno ha origine lungo la cosiddetta “linea delle risorgive” che va da Codroipo a Palmanova e contribuisce ad alimentare, assieme allo Zellina e alla Corgnolizza, la falda freatica dalla quale prendono vita le fontane di San Giorgio. La storia di queste ultime si lega necessariamente alla vita umana e alle sue esigenze primarie. Le prime furono progettate e realizzate alla fine dell’Ottocento, quando l’amministrazione comunale decise di trasformare dodici dei tredici pozzi artesiani esistenti in altrettante fonti d’acqua. Due fra quelle ancora attive si trovano nella frazione di Chiarisacco. Una di esse è ubicata nella piazza omonima mentre l’altra, ben visibile dalla strada statale all’imbocco di via Chiarisacco, si caratterizza per la solforosità delle sue acque (aghe clope in friulano). Una terza è situata nella frazione di Zuccola, ai margini della strada che porta alla chiesetta di San Marco. Almeno altre due fontane si trovano nel centro del paese, anche se dalle loro bocche non esce più acqua, mentre molte altre sono state rimosse.

Lo sport nel DNA

A San Giorgio di Nogaro lo sport è sempre stato d’élite. Società sportive come il calcio, la pallavolo, la scherma, la canoa, il pattinaggio, il basket, il baseball e la nautica sono diventate vere eccellenze, molti sono i giovani atleti che ogni anno sono impegnati nelle rappresentative regionali e nazionali conquistando titoli importanti. Sei sono gli impianti sportivi di ultima generazione e garantiscono assieme alle due palestre gli spazi necessari per poter far allenare gli atleti delle varie società. Le società sportive dilettantistiche e amatoriali in tutto sono 27.
Il calcio.
Fondata subito dopo la grande guerra, nel lontano 1921, la S.S. Sangiorgina ha saputo imporsi nel corso degli anni come punto di riferimento del calcio regionale grazie ai successi del proprio settore giovanile, ancora oggi fiore all’occhiello della società, che può vantarsi del titolo di “Scuola calcio qualificata” e di “Centro pilota Regionale”. In anni recenti la società è stata premiata dalla Uefa per l’attività sportiva volta a promuovere il calcio giovanile. Molti sono i calciatori che in questi novant’anni hanno calpestato il manto erboso del vecchio “Germano Pez” o lo stadio “Cornelio Collavin”, parecchi di essi hanno intrapreso carriere brillanti, diventando famosi per aver giocato in squadre professionistiche senza però dimenticare mai la loro prima formazione: da Gino Archesso a Silvano Moro, da Bruno Maran a Renzo Pestrin, da Ermanno Cristin a Walter Franzot e tanti altri ancora.
La pallacanestro.
L’Olimpico, l’ex pista da ballo all’aperto, è il primo campo da gioco della Società Sangiorgina Pallacanestro, nata nel 1952 e subito riconosciuta dalla F.I.P. Dopo vari alti e bassi, la società ha trovato un equilibrio che le ha permesso di sviluppare maggiormente il settore giovanile. Per questo motivo si è meritata un riconoscimento del C.O.N.I. e la partecipazione alla Snaidero Basket Friuli, sodalizio di Majano che individua e prepara i migliori giovani delle squadre affiliate.
La scherma.
La prima associazione schermistica sangiorgina viene fondata nel 1967 e un anno più tardi si registra l’affiliazione della società alla F.I.S. mentre viene individuata nel complesso “Ex Gil”, a quei tempi in disuso, la sede per gli allenamenti e le gare. Nel 1987 si registra la fusione con la F.A.R.I.T. di Trieste e la nascita della Gemina Scherma. Di lì a poco alcuni atleti si meritano la convocazione in nazionale per la Coppa del Mondo Under 20. Tra le fila dei più giovani si segnalano due titoli italiani nelle categorie “ragazzi” e “cadetti”. Per ben due volte, nel 2003 e nel 2005, viene conquistata la Coppa del mondo di spada femminile.
Baseball e softball.
La squadra viene costituita ufficialmente nel ’69 e come campo di allenamento viene inizialmente individuato in un’area abbandonata di deposito legnami (“Ex Goriu”), in località Galli. Dopo alcuni anni le attività vengono forzatamente sospese e i giocatori costretti a spostarsi in altri impianti sportivi ritenuti più idonei. La squadra femminile interrompe così il suo percorso mentre i ragazzi si trasferiscono a Castions delle Mura, in attesa del nuovo impianto presso il Villaggio Giuliano, dove la Società Baseball Dragons Club può finalmente proseguire le sue attività.
La pallavolo.
Il 1972 è l’anno in cui nasce ufficialmente la Società Pallavolo Sangiorgina, affiliata alla federazione nazionale. Anche questa disciplina viene praticata all’interno della palestra “Ex Gil”. Fanno da apripista le ragazze, seguite a distanza di un anno dai ragazzi (per sole tre stagioni, dal ’73 al ’77). Fin da subito si coltiva un valido settore giovanile femminile che negli anni riuscirà a dare continuità e a garantire ottimi risultati sportivi. Nella stagione ’86-’87 la squadra viene promossa in serie B, mentre due anni più tardi sfiora l’ammissione in A2 pur avendo vinto il campionato a pari merito.
Il pattinaggio artistico.
Il 2 marzo 1989 un gruppo di genitori costituisce la Società di Pattinaggio Artistico Libertas, sull’onda dell’interesse portato dalla squadra latisanese ospitata per anni presso la pista esterna delle scuole medie di San Giorgio e l’annessa palestra. Dopo le prime esperienze agonistiche, nella seconda metà degli anni Novanta la società consolida il suo staff tecnico e cresce il livello degli atleti. Il 2008 è l’anno in cui si inaugura la nuova palestra di pattinaggio.
Circoli nautici.
L’A.S.D Nautica San Giorgio è stata fondata nel 1973 da un gruppo di persone accomunate dalla passione per il mare. Nel 1979 viene affiliata alla Federazione Italiana Vela e nel 1982 ottiene il riconoscimento ufficiale da parte della Federazione Italiana Motonautica. Dopo i primi anni di intensa attività velica a favore dei giovani, la società è in grado di “svezzare” i primi atleti tra cui l’ormai famoso Stefano Rizzi. Ora la Società Nautica ha una sede sempre più curata e vanta un numero elevato di soci organizza regate veliche e ogni estate istituisce corsi di vela per bambini, ragazzi e adulti.
Il Circolo nautico Laguna San Giorgio si trova in località Planais ed è formato da un centinaio di soci e simpatizzanti uniti dalla passione per la nautica da diporto e la pesca sportiva praticati principalmente nella Laguna di Marano e di Grado.Tra le attività del circolo, in collaborazione con altre associazioni culturali e sportive, anche numerose iniziative culturali quali mostre fotografiche, convegni e redazione di calendari.

Un porto nella notte dei tempi

Una banchina di attracco per imbarcazioni di epoca romana. Questa l’ipotesi più probabile per dare collocazione ai ritrovamenti avvenuti durante lavori di pulizia e sistemazione dell’argine del fiume Zellina in località Galli. Un tronco d’albero di 5 metri di lunghezza e 80 centimetri di diametro con diverse scanalature verticali evidenti nella parte superiore e una superficie piatta e levigata nella parte inferiore centrale. Una serie di pali allineati conficcati nell’alveo del fiume. Scoperte che vanno ad aggiungersi ai numerosi siti di epoca romana già censiti lungo il fiume Zellina – tra cui, il più rilevante, nonché l’unico interessato da uno scavo archeologico: la fornace in comune di Carlino – una vera e propria testimonianza dell’importanza di questo corso d’acqua quale via di comunicazione di persone e merci.