Teatro Maran

Nel clima fervido degli inizi del secondo decennio del secolo, Ernesto Maran decise di dotare (1911) il proprio paese di una sala-teatro (la seconda in una realtà di 5.400 abitanti, dopo il teatro Cristofoli di piazza del Grano), che sarebbe immediatamente diventata il luogo-simbolo della mondanità sangiorgina, nell’atmosfera ancora inebriante della Belle Époque.

Attorno alla stazione ferroviaria (il primo treno era giunto in paese il 26 agosto 1888) cominciarono così a fiorire alcune attività commerciali quali l’Albergo Alla Stazione, l’Albergo Libia e lo stesso Salone-Teatro Maran con l’annessa sala da ballo, sviluppata in una struttura esagonale con copertura a pagoda. L’apparato interno, costruito su due livelli di palchi e sorretto da Colonnine di legno a capitelli decorati, comprendeva ordini speculari di galleria, dai quali gli spettatori più abbienti potevano assistere agli spettacoli, mentre il resto del pubblico prendeva posto in platea. Anni dopo il teatro sarebbe stato universalmente conosciuto con l’appellativo Là dal Mago: la magia era quella della lanterna magica (antenata del proiettore cinematografico) con la quale Geremia (Mio) Maran era solito incantare i Maranesi alla “Vedova Raddi”, Proiettando figure di animali esotici e immagini di località italiane. «Te xe un mago» («Sei un mago»), dicevano stupefatti a Mio gli abitanti di Marano. Appellativo poi passato a tutti gli eredi.

Anche questo spazio fu requisito dall’Intendenza militare come sala di studio serale e biblioteca per gli studenti specie durante il primo anno dei corsi (13 febbraio – fine maggio 1916). Fu meno intensamente utilizzata nel secondo anno (26 novembre 1916 – fine marzo 1917), perché il baricentro della vita universitaria si era nel frattempo spostato nei nuovi fabbricati della fornace Foghini, costruiti per una popolazione studentesca più che raddoppiata rispetto al primo anno: da 366 a 812 studenti.

E come abitavano gli studenti-soldato questo spazio “serale”? Ecco due testimonianze diverse ma complementari: «Ho assistito, senza essere visto alla loro [degli studenti] radunata serale nel vasto locale circolare del cinematografo. Nella sala sono deschetti di legno e panche disposti in cerchi concentrici. Pendono le lampadine elettriche a illuminare i piccoli tavoli. Dal palcoscenico talora si fanno proiezioni illustrative. Ma per lo più gli studenti sono liberi di accudire ai lavori loro. Chi studia, chi rilegge i sunti delle lezioni, chi scorre i giornali, chi scrive. Ma quello che colpisce è il grande silenzio di tutta questa gioventù radunata insieme la sera, dopo una buona giornata di lavoro.

Un silenzio non d’oppressione o di stanchezza, un silenzio operoso, che è l’espressione del rispetto di ciascuno alla tranquillità del compagno.

E tutto questo senza che vi sia un superiore a mantenere la disciplina». (Piero Giacosa, “La Lettura”, 1 luglio 1916).

«[…] E un altro grande locale per lo studio “lì dai Màgos”, studio che, data la vicinanza, si prestava benissimo perché gli allievi saltassero spesso la sbarra per andare a finirla da “Siore Eulalie” all’albergo della stazione [Nuovo Albergo Alla Stazione della famiglia Costantini]; a consumare spuntini e bevande e più di tutto a far ammattire l’ambiente». (Ferruccio Costantini, La Battaglia oscura, Circolo Universitario, San Giorgio di Nogaro 1968).