Marianna Denti di Piraino

Forse la figura più intensa fra le crocerossine che popolarono gli ospedali di San Giorgio fu Marianna Denti di Piraino (1874-1944), singolare figura di donna energica e coraggiosa, che racconterà di sé nel 1935 nell’autobiografia Soltanto per i miei amici. Con grande onestà intellettuale Marianna spogliò il proprio impegno d’infermiera da ogni trionfalismo retorico: «Ho passato tutta la guerra negli ospedali per egoismo. Per sopportare nel miglior modo, dedicandomi a quel lavoro, le ansie per il Paese e per la vita dei mei cari». In servizio all’ospedale n. 8 di San Giorgio dal settembre 1915 (e per lunghi periodi anche da sola), vi restò per quasi un anno:

Oh quelle ambulanze che, sulla porta dell’ospedale scaricano tutte quelle barelle rosse di sangue… creature senza braccia, con le gambe stroncate, col viso tutto bruciato! Alle volte nelle barelle non si trova che un cadavere […]. Nell’Ospedale di S. Giorgio cominciai a vedere lo strazio della guerra! L’Ospedaletto era impiantato in una osteria. La corsia più grande era il granaio della casa. Le incursioni aeree erano continue, quasi tutte le notti. S. Giorgio era nodo ferroviario, era deposito di munizioni, e vi era agglomerata tanta gioventù che frequentava l’Università Castrense. Si capisce che fosse preso di mira. […] Durante i combattimenti bisognava rincuorar tanto i poveri feriti. Per quelle povere creature doloranti, l’ospedale rappresentava la tranquillità, la sicurezza. Invece le incursioni aeree riportavano il pericolo su di loro, e per di più, sulla loro impotenza, sullo strazio della loro carne. Tutte le notti le passavamo in piedi ad incoraggiare quei poveri giovani, a rassicurarli, finché la campana della chiesa non avvertiva che gli aereoplani [sic] si erano allontanati. […]. Che merito avevo a non aver paura? Purtroppo, nessuno! Forse, avrei avuto merito a compatire quelli che «morivano dalla paura». Ma anche questo mi mancava. Un giorno (l’incursione era in pieno giorno) dalla porta del mio ospedale assistetti ad un orrendo spettacolo: un soldato usciva terrorizzato dal suo ospedale poco lontano dal mio, e correva come un pazzo verso la campagna. Una bomba cadde… vidi una fiamma… sentii un gran scoppio… quel disgraziato con c’era più! Il Commissario dell’Ospedale, un «cuor di leone», era accanto a me. In quel momento impressionante ebbe bisogno di dar sfogo ai suoi sentimenti, e non potendo far altro, si volse a me, quasi con furore, dicendo: «Vorrei sapere perché Lei che potrebbe stare a casa sua è qui esposta a questi pericoli». Ed io: «Per far da contrappeso a quelli che devono starci e non vorrebbero esserci.»

Negli ospedali la convivenza fra volontarie e il personale medico e ausiliario aveva molti momenti di frizione. Oltre che con le paure del commissario dell’ospedale, Marianna Denti dovette fare i conti anche con le paure del soldato che le era stato assegnato di supporto:

Una notte, durante un attacco aereo, ero nella corsia dell’ultimo piano dell’Ospedale cercando di tener calmi e distratti i poveri feriti. Chiarolanza era di guardia nella corsia; ma teneva d’occhio la scala, pronto a scappare. Io tenevo d’occhio lui, e lo chiamavo spesso per far qualcosa e tenerlo occupato. Ma ad un tratto, ad un forte scoppio molto vicino a noi, Chiarolanza si precipita verso la scala. Io lo chiamo con voce tuonante e gli dico: “Sta fermo qui, devi stare dove sono io”. E allora quel povero paurosone, quasi piangendo mi dice: “Eccellenza (non mi aveva mai chiamata così) tu sei ‘truvista’ [leggi: altruista] lo so; anche il Capitano lo dice; ma io non lo sono niente.

Marianna Denti aveva partecipato al primo corso per infermiere a Firenze nel 1907; era una delle crocerossine più esperte: era stata all’ospedale degli Incurabili di Napoli dopo il terremoto di Messina; quindi in Sardegna con il fratello Aberto per una campagna antimalarica diretta dai professori Lustig e Sclavo e in seguito ad Atene presso l’ospedale Ximeion. Nel 1915 era all’ospedale Santo Spirito di Roma per assistere gli sfollati del terremoto della Marsica e, infine, con lo scoppio della guerra in un ospedale di Venezia, dove fece anche cento iniezioni di chinino al giorno a degenti provenienti dalle zone malariche di Cavazuccherina (l’attuale Jesolo) e di Eraclea.