Il porto e la zona industriale

Introduzione

Raccontare una “zona industriale”, all’interno di un insieme di itinerari da percorrere e di esperienze da praticare, può apparire un paradosso. A San Giorgio di Nogaro non lo è. Al contrario, l’area industriale, in questo territorio, assume un carattere di grande fascino e una forte attrattiva per chi vuole immergersi in ambienti differenti e pieni di incanto.

In questo piccolo viaggio si incrociano più dimensioni: da quella prettamente produttiva a quella delle ex fabbriche e della loro archeologia, dai percorsi ciclabili in mezzo a strade bianche che ci conducono fino a Marano Lagunare al mondo del lavoro legato in modo indissolubile al mare. Possiamo spingerci, al termine del nostro andare, fino alla foce del fiume Corno e all’imbocco dell’Adriatico. E, infine, sostare in un borgo, Porto Nogaro, custode di storie di mare e marinai che ci trasporta verso altri mondi e latitudini lontane.

Ecco che, dirigendosi verso una delle aree industriali più grandi dell’intero Friuli Venezia Giulia, con qualche breve deviazione o piccole soste qua e là, siamo in grado, nell’arco di pochi chilometri, di immergerci nella campagna o nella laguna e osservare sullo sfondo le montagne della Carnia, con le cime imbiancate d’inverno, e nel medesimo istante, avere alle nostre spalle, a pochi metri da noi, il mare.

In un’ipotetica partenza dal centro cittadino, ci muoviamo verso la stazione dei treni e qui, dopo aver percorso il sottopasso, proseguiamo in mezzo alle case, con i binari della ferrovia che scorrono accanto alla pista ciclabile. Superato il semaforo, svoltando a destra e oltrepassando le croci di Sant’Andrea, inizia il lungo rettilineo che ci introduce alla zona industriale dell’Aussa-Corno.

Tale progetto prese forma negli anni Cinquanta da un’idea dell’ingegner Lionello Ferrari che comprese le potenzialità storiche ed economiche dell’area, che fin dai tempi antichi aveva assunto carattere di terra di commerci e scambi. Il Consorzio per lo sviluppo industriale della zona Aussa-Corno, che abbraccia i comuni di San Giorgio di Nogaro, Cervignano del Friuli, Torviscosa e Terzo d’Aquileia, vede qui la parte più estesa e densa. Un’ottantina di insediamenti industriali con decine di fabbriche, strutture che erogano energia, oleifici, attività legate al porto e al mare, fanno di questo territorio uno dei maggiori centri industriali a livello europeo.

Dopo qualche centinaio di metri e oltrepassato un altro semaforo, la pista ciclabile corre a destra, protetta dalla via principale; la strada è una lingua d’asfalto di cui non si scorge la fine; la ferrovia è scivolata a sinistra, con alcuni vagoni merci a dimostrare che qui, anche se tutto appare immobile, il lavoro prosegue ininterrotto. In pochi metri, tre possibili mezzi per muoversi; destino, quello dei trasporti, presente a San Giorgio di Nogaro da tempi remoti.

Quest’area, con il calare del sole, assume un fascino tutto particolare: il traffico ridotto, le luci all’interno delle fabbriche a ciclo continuo, la brezza che giunge dal mare. Tutto diventa metafora di una trasformazione. I verbi che durante il giorno la fanno da padrone, come spostare, cambiare, passare, scaricare, importare, commerciare, lasciano spazio a una calma apparente che solo il buio può offrire.

È un’esperienza sensoriale, un vero e proprio viaggio: scorgere la bellezza, riflettere sulle storie, odorare lidi lontani, in un luogo che apparentemente è solo produzione e commercio. E magari con il sole già calato sull’orizzonte, arrivare fino in riva all’Adriatico e starsene lì a contemplare la grandezza del mare.

Seguendo la strada, dopo qualche chilometro, a destra incrociamo il birrificio Castello. La struttura a vetri permette di osservare, anche dall’esterno, parti delle attrezzature necessarie a creare una birra artigianale. Spesso, di notte, si possono sentire i profumi di luppolo o malto che si intersecano con gli odori dell’oleificio San Giorgio, specializzato nell’estrazione e raffinazione di oli vegetali.

Se abbiamo inforcato la bicicletta, seguiamo la pista ciclabile prestando attenzione alle uscite delle auto e dei camion dalle fabbriche. Subito dopo il birrificio svoltiamo a destra, imboccando via Wasserman, e corriamo per un centinaio di metri fra gli insediamenti industriali seguendo l’indicazione «località Planais». Poco dopo svoltiamo a sinistra: termina la strada asfaltata e inizia uno sterrato che in breve ci conduce in mezzo alla natura e alla campagna. Il cartello stradale che indica il divieto di accesso ai camion diventa il simbolico confine tra le due dimensioni che stiamo raccontando. Si entra nella località di Planais, con poche case e qualche orto. Qui si pedala accanto a fossati, su una strada ben battuta lungo la quale si possono vedere boschi di pioppi e numerosi punti di osservazione degli uccelli.

All’improvviso, come fosse una visione, ci appare un esteso impianto fotovoltaico, mentre a sinistra i vigneti ci raccontano di come anche la Bassa friulana sia terra di vino. Qui, in particolare è zona “Annia doc” che produce profumati vini bianchi e rossi corposi.

Attraversando un territorio di campagna con la lentezza dei passi o sulla sella di una bicicletta, incrociando piccoli corsi d’acqua, profumi e alberi, vengono in mente le parole di Siddharta, il protagonista del libro di Hermann Hesse:

«Bello era il mondo a considerarlo così: senza indagine, così semplicemente, in una disposizione di spirito infantile. Belli la luna e gli astri, belli il ruscello e le sue sponde, il bosco e la roccia, la capra e il maggiolino, fiori e farfalle. Bello e piacevole andar così per il mondo e sentirsi così bambino, così risvegliato, così aperto all’immediatezza delle cose, così fiducioso. Diverso era ora l’ardore del sole sulla pelle, diversamente fredda l’acqua dei ruscelli e dei pozzi, altro le zucche e le banane. Brevi erano i giorni, brevi le notti, ogni ora volava via rapida come vela sul mare, e sotto la vela una barca carica di tesori, piena di gioia».

È proprio questo l’effetto che si può provare deviando semplicemente per qualche chilometro dalla strada principale o impiegando in modo diverso una breve pausa del nostro tempo.

Durante il percorso incontriamo una serie di boschi planiziali, tra cui il Bosco Coda di Coluna che, come si legge in un articolo dell’Annuario 2003 dell’Associazione culturale Ad Undecimum, a firma di Pier Paolo De Biasio, «stupisce qualsiasi osservatore che ponga un minimo di attenzione all’ambiente circostante. Anche a un profano, infatti, appare evidente che non si tratta di un boschetto ceduo costituito da una o poche specie arboree, generalmente introdotte artificialmente. Tale bosco, denominato Coda di Coluna, è infatti un lembo sopravvissuto delle foreste originarie della Pianura Padana e, più precisamente, un querco-carpineto planiziale, relitto dell’antica Selva Lupanica, al pari dei vicini Bosco Sacile e Bosco Ronc di Sass». Come si legge ancora nell’articolo, oltre alla segnalazione di alcuni interventi dell’uomo che mettono in pericolo questo prezioso lembo di terra, «al suo interno si è conservata una vegetazione arborea costituita principalmente da farnia, carpino bianco, acero campestre, frassino ossifillo, olmo campestre e pioppo tremulo».

Si torna sulla strada asfaltata fino a incrociare il fiume Zellina, corso d’acqua lungo circa dodici chilometri che prende origine da acque di risorgiva nel comune di Castions di Strada e sfocia in laguna tra i comuni di Carlino e San Giorgio.

Superato il ponte, il nostro itinerario giunge a Carlino, da dove si può proseguire fino a Marano, il suggestivo borgo di pescatori che merita senza dubbio una sosta e una visita, in particolare per le riserve naturali.

Come possiamo notare, in pochissimo tempo ci siamo dimenticati degli insediamenti industriali e ci siamo immersi in un territorio di prati umidi, boschi, vitigni, uccelli e pioppeti. Una magia che la Bassa friulana, spesso, è in grado di offrirci.

Ritornando sulla strada principale che taglia la zona industriale, di fronte al bar trattoria Aussa Corno, sulla nostra destra possiamo ammirare, senza poter superare la catena che ne delimita l’ingresso, una struttura chiamata Agenzia n. 7. Sembra una hacienda nel mezzo della Patagonia, con la strada diritta che la attraversa e i sottoportici dove tenere i cavalli. Nulla di tutto questo, ma l’immaginario, come sovente accade da queste parti, può portare la fantasia a fare salti temporali e associare geografie inaspettate. In realtà ci troviamo di fronte al nome assegnato a una azienda agricola collegata allo stabilimento “Snia Viscosa” di Torviscosa che comprende anche altre agenzie con differenti numerazioni.

Passati tutti gli edifici dismessi della ex Cogolo, iniziamo a notare sulla sinistra la presenza delle cosiddette marine mentre proseguendo diritti arriviamo alla fine della strada. Di fronte abbiamo lo specchio della laguna. Possiamo imboccare a destra una piccola via sterrata che ci conduce a delle piccole darsene da dove si possono intravedere alcuni tipici casoni maranesi, suggestive strutture abitative che si affacciano in laguna.

Qui sembra di essere al limitare di qualcosa, la sensazione di una fine e l’apertura verso un altro mondo. Soffia una brezza di mare. A sinistra c’è la foce del fiume Corno. Di fronte a noi alcune isole e una flora e una fauna tipiche delle zone lagunari.

Da questo punto, in barca, si può raggiungere Porto Buso e arrivare fino a Lignano e Grado e più avanti ancora spingersi verso l’Istria e la Dalmazia. È proprio da questa prospettiva che si comprendono anche la posizione strategica di San Giorgio di Nogaro e la quantità di insediamenti legati al mare che si sono sviluppati in quest’area.

Da questo punto possiamo solo invertire la rotta e tornare indietro lungo la strada già percorsa. Ora avremo sulla destra la maggioranza degli insediamenti industriali e alcuni luoghi dove soffermarci per qualche minuto.

Le cosiddette marine sono le protagoniste indiscusse di questa parte dell’itinerario. Sono luoghi adibiti alla sosta e al rimessaggio dei natanti. Al loro interno sostano barche di grande lunghezza e i proprietari provengono da tutta Europa. Scelgono questi approdi, oltre che per il luogo strategico, anche per l’acqua dolce del Corno che, a differenza di quella salata del mare, usura meno la carena della barca, e inoltre perché sono al riparo da burrasche e tempeste. Spesso le marine offrono la possibilità di noleggio e questo permette di poter usufruire delle strutture anche a chi non ha una propria barca attraccata.

 

La ferrovia corre ora alla nostra destra e dopo la zona della ex Cogolo e un ponte sul canale svoltiamo a destra per dirigerci verso l’edificio dell’idrovora Planais. Il nuovo impianto, ristrutturato di recente, è stato realizzato dal Consorzio per lo sviluppo industriale della zona Aussa-Corno; è costituito da quattro pompe idrovore da 4000 litri/secondo ciascuna ed è in grado di tenere all’asciutto l’intera zona a sud del comune di San Giorgio di Nogaro e quella a est del comune di Carlino, scaricando l’enorme massa d’acqua, che si raccoglie in questo bacino, nel fiume Corno. Il vecchio manufatto degli anni Venti assume il fascino di un’archeologia industriale legata al periodo del fascismo che ci permette di continuare questo viaggio tra vecchio e nuovo, tra storia e attualità. Ritorniamo, quindi, sulla strada principale e dopo poche centinaia di metri si apre alla nostra destra la vista del nuovo porto.

Il vecchio porto, con la banchina dove un tempo approdavano navi e merci, è affiancato dall’edificio della ex Montecatini, con la sua alta torre in mattoni rossi, dalla punta spezzata, visibile da qualsiasi prospettiva fino a diventare, suo malgrado, punto di riferimento visivo per orientarsi su questa pianura. Si passano le prime case e la Capitaneria di Porto e subito ci si immerge in una dimensione altra, soprattutto grazie al binario della vecchia ferrovia che taglia in due la strada asfaltata. È facile immaginare come la vita del paese si sia sviluppata attorno a questo singolo binario, al vecchio porto e a tutta la gente che arrivava o partiva per chissà quali zone del mondo. Ed è anche facile lasciarsi trasportare dalla fantasia di imbattersi ancora in treni a vapore e in storie di marinai che finivano tra abbracci e bicchieri di vino in osteria.

Osteria che c’è ancora ed è attiva fin dai primi anni dell’Ottocento. Si trova di fronte alla chiesa dedicata a San Leonardo, che accanto all’entrata principale ha un segnale stradale, la croce di Sant’Andrea, come a indicare che a queste latitudini il lavoro, la preghiera e il cibo possono convivere in pochi metri.

La chiesa originaria, costruita attorno al 1467 su preesistenze murarie più antiche, aveva pianta rettangolare e un altare dedicato alla Madonna della Neve, il cui gesto di aver miracolosamente salvato un marinaio travolto da una tormenta di neve, è all’origine di una tradizione religiosa molto sentita e che ancora oggi è elemento di attrazione per centinaia di persone. L’antico miracolo si ripete ogni anno nella magia di una processione notturna di barche, precedute dalla statua della Madonna, che ogni prima domenica d’agosto risale il fiume Corno, nella scia luminosa di centinaia di lumini accesi sull’acqua, mentre il cielo si colora con i fuochi d’artificio esplosi dai marinai.

L’Osteria alla Marittima è stata un punto di ritrovo e di ristoro per i marinai che approdavano al porto. Ora, quando entri, puoi respirare l’odore di un tempo passato: tavoli di legno, qualche libro, antichi poster del Touring Italiano, vecchie radio, qualche bottiglia di vino a decorare le mensole. Due volumi che racchiudono l’intera opera di Freud assurgono a simbolo di un sogno che qui dentro non serve interpretare ma puoi vivere fantasticando storie di contrabbandieri e lupi di mare, di merci che provenivano dall’Oriente e di equipaggi del Mar Nero. Laura, che oggi gestisce l’osteria, racconta che «è stato lo zio di mia mamma, Ippolito, a dare il via all’attività. I suoi genitori hanno aperto, poi c’è stata mia madre e adesso, da sette anni, l’ho presa in gestione io. Qui veniva Nazario Sauro, famoso irredentista e militare italiano, tenente di vascello della Regia Marina, che quando c’era luna piena arrivava con la sua barchetta dal fiume, entrava e si andava a rifugiare in una piccola stanza sul retro per non essere disturbato. L’osteria è sempre stata frequentata dai portuali che, ricordo, bevevano i quartini di grappa. Bevevano tantissimo».

Per Laura, riaprire questo locale è stato quasi riappropriarsi di un legame con la propria famiglia, con la propria origine e dare continuità al lavoro dei suoi avi. Si respirano storie, i muri hanno assorbito parole e canti, i tavoli di legno di cento anni fa hanno ancora i segni delle baionette che i soldati della prima guerra mondiale conficcavano una volta entrati.

«Marinai greci, iugoslavi, russi ritornavano di frequente, sempre gli stessi, ogni quindici venti giorni e quindi ci si conosceva tutti. Rimanevano fino a notte fonda e fumavano fino a creare una nebbia. Era come una grande famiglia. Una volta è affondata una nave al largo ed è morto l’intero equipaggio, tutti ragazzi che frequentavano l’osteria. Quando è arrivata la notizia, qui dentro nessuno parlava. Era come se fossero morti cari amici. Ricordo che da bambina andavo a giocare sulle navi con i figli dei marinai. E poi c’era il treno che passava tre quattro volte al giorno e un’atmosfera molto particolare» continua a raccontare Laura.

In questo locale, ancora oggi, durante la settimana delle Ceneri, giungono da tutta la Bassa friulana per assaggiare l’aringa, mentre una specialità del posto che Laura ha mantenuto è il baccalà.

Di fronte all’osteria e accanto alla chiesa si apre un parco che confina con il vecchio binario. Ci si può sedere, di fronte all’ansa del fiume Corno, che qui corre placido e sulle cui acque nuotano cigni e sono ormeggiate barche a remi.

Finisce qui questo itinerario, seduti su una panchina nel piccolo parco di Nogaro. Alle nostre spalle qualche avventore racconta storie di mare, il cigno affonda la testa nel Corno a caccia di qualche pesce, l’aria è un misto di mare e terra.

 

Spostarsi è una vocazione

Il sistema dei trasporti è un vero e proprio punto di forza della zona industriale Aussa Corno. Strade, fiumi e ferrovia si integrano perfettamente sino a formare un complesso circuito di collegamenti in grado di soddisfare qualsiasi esigenza.

Paralleli al fiume Corno, oltre sette chilometri di superstrada a quattro corsie percorrono tutta la lunghezza della zona industriale. La strada statale 14 garantisce il collegamento, in primis, con Venezia e Trieste e con Palmanova e Udine, attraverso la rete di strade provinciali e regionali. Il casello autostradale di San Giorgio di Nogaro-Porpetto è raggiungibile in pochi minuti.

Il fiume Corno, dal canto suo, ha permesso un’attività portuale da epoche remote e consente la navigazione fino in laguna e da questa al Mare Adriatico. Alla fine della Seconda guerra mondiale iniziarono i complessi lavori che portarono all’attuale conformazione del fiume, in modo da renderne più agevole la navigazione. Oggi il nuovo porto è raggiungibile da navi che arrivano a una stazza netta di 4000 tonnellate (con punte di 7000).

Infine, la linea ferroviaria San Giorgio di Nogaro-Porto Nogaro fu inaugurata nel 1888 come prosecuzione della linea Udine-San Giorgio, la cosiddetta “Udine-mare”. Il progetto di collegamento si rese necessario per rilanciare l’attività di Porto Nogaro, da sempre in condizione di subalternità rispetto al porto fluviale di Cervignano, in territorio austriaco. La genesi di questo tratto ferroviario fu lunga e complessa. La prima idea progettuale, anteriore al 1866, prevedeva semplicemente di congiungere Udine a Cervignano, attraverso Latisana e San Giorgio, in modo da non alterare gli equilibri economici ed evitare di arrecare danno al porto di Trieste. Nel 1879 un nuovo progetto di costruzione venne scartato a favore della linea Portogruaro-Casarsa-Spilimbergo-Gemona. Solo nel 1883 il sindaco di San Giorgio di Nogaro, Pio Vittorio Ferrari, poté firmare il contratto con il quale impegnava la Società Veneta a consegnare la ferrovia entro cinque anni a fronte di una spesa complessiva di 140.000 lire.

Quest’area, con il calare del sole, assume un fascino tutto particolare: il traffico ridotto, le luci all’interno delle fabbriche a ciclo continuo, la brezza che giunge dal mare. Tutto diventa metafora di una trasformazione. I verbi che durante il giorno la fanno da padrone, come spostare, cambiare, passare, scaricare, importare, commerciare, lasciano spazio a una calma apparente che solo il buio può offrire. È un’esperienza sensoriale, un vero e proprio viaggio: scorgere la bellezza, riflettere sulle storie, odorare lidi lontani, in un luogo che apparentemente è solo produzione e commercio. E magari con il sole già calato sull’orizzonte, arrivare fino in riva all’Adriatico e starsene lì a contemplare la grandezza del mare.

Seguendo la strada, dopo qualche chilometro, a destra incrociamo il birrificio Castello. La struttura a vetri permette di osservare, anche dall’esterno, parti delle attrezzature necessarie a creare una birra artigianale. Spesso, di notte, si possono sentire i profumi di luppolo o malto che si intersecano con gli odori dell’oleificio San Giorgio, specializzato nell’estrazione e raffinazione di oli vegetali.

La birra di San Giorgio

La Castello, la prima birra senza una storia, secondo lo slogan inventato dalla stessa società, nasce nel 1997 proprio nello stabilimento di San Giorgio di Nogaro. Rappresenta attualmente la più importante azienda di birra friulana, oltre che uno dei pochi gruppi imprenditoriali italiani del settore. In precedenza, negli stessi impianti veniva prodotta la storica birra Moretti che, pur mantenendo la denominazione di birra friulana, nel 1996 è stata comprata dalla società olandese Heineken, che ha ceduto alla Castello il complesso industriale sangiorgino.

 

Nel 2006, la Castello S.p.A. ha rilevato uno degli stabilimenti storici italiani, quello di Pedavena in provincia di Belluno, fondato nel 1897, arricchendosi di qualità, know-how e tradizione birraria. L’azienda ha ottenuto nel 2008, primo e unico birrificio in Italia, la certificazione secondo lo standard internazionale IFS. Lo stabilimento è uno dei più moderni esistenti oggi nel nostro paese ed è aperto per visite guidate, previo appuntamento.

Tra acque dolci e salate

Dopo la confluenza del fiume Aussa, il Corno si immette nella laguna di Marano, la più a nord di tutto il Mediterraneo. Questa laguna è formata da tre bacini, quello di Lignano, di S. Andrea e di Porto Buso (per metà appartenente alla laguna di Grado). A tali bacini corrispondono altrettante bocche lagunari (o porti), conosciute con lo stesso nome, che li uniscono al mare. A Porto Buso sono legati episodi risalenti alla prima guerra mondiale che, tra storia e leggenda, narrano di un confine politico, quello tra Italia e Austria, che si sovrapponeva a un confine fisico ben evidente. La laguna, infatti, sotto tutti i punti di vista, rappresenta un mondo a parte. Le sue acque, né dolci né salate, subiscono l’influsso lento delle maree. La terra riaffiora a pelo d’acqua nelle velme, lingue di sabbia pianeggiante ricoperte di melma, e nelle barene, isolotti emersi più distintamente e formati da vegetazione bassa. Tra velme e barene si snoda la ragnatela dei ghebbi, canali tortuosi, di ineguagliabile bellezza se osservati dall’alto, che convogliano il flusso delle maree. La cannuccia di palude, forte della sua capacità prodigiosa di diffondersi per via vegetativa, è la specie dominante. Il limo, un fango ricchissimo di sostanze nutritive, consente la vita a un’enorme varietà di animali. Tra questi gli insetti, che attirano un gran numero di uccelli. Nel 1996 la Regione Friuli Venezia Giulia, per tutelare questo delicato e ricchissimo ecosistema, ha istituito due riserve naturali denominate “Foci dello Stella” e “Valle Canal Novo”.

Il cosiddetto “casone” si inserisce fin dai tempi più antichi in questo ambiente, quale simbolo della presenza umana in laguna. Di pianta rettangolare, con i lati minori leggermente arrotondati per evitare gli spigoli vivi, è stato utilizzato come deposito per gli attrezzi e alloggio durante i giorni di pesca lontano dal paese. Il “casone” rappresenta un esempio di abitazione eco-compatibile ante litteram: il fumo, che dal focolare riempie la parte alta e fluisce lento dalle invisibili fessure, tiene lontane le zanzare migliorando al tempo stesso la tenuta stagna del tetto. Ora che le imbarcazioni a motore permettono un veloce rientro, essi servono per lo più come meta di occasionali evasioni festive e turistiche.

Il lavoro del mare

La zona industriale ospita varie marine.

La Shipyard&Marina Sant’Andrea è la più grande. Estesa su un’area di oltre 200.000 metri quadrati, può ospitare ottocento imbarcazioni fino a una lunghezza massima di trenta metri. Comprende anche un’area cantiere molto sviluppata che viene utilizzata per il rimessaggio esterno e coperto, per i lavori di verniciatura, meccanica e motoristica, carpenteria su legno, sabbiatura ed elettronica. Completano la struttura due ristoranti, una piscina e attrezzature per il tempo libero.

La Marina Planais dispone di quarantasette posti barca disposti su pontili fissi. La profondità all’ormeggio è di quattro metri e mezzo.

Dopo il porto troviamo La Cantieri Marina San Giorgio. Con i suoi 45.000 metri quadrati di estensione e una profondità di circa quattro metri, può ospitare trecento imbarcazioni. Maestranze qualificate e abili artigiani garantiscono consigli tecnici di assoluta competenza. Anche in questa marina sono presenti un ristorante aperto al pubblico e una piscina.

Dal sodalizio fra l’esperienza nautica della Cranchi e un’azienda trevigiana, nasce Darsena Boat 104. Si estende per 350.000 metri quadrati dei quali 20.000 sono dedicati al verde. La darsena ha centoquattro posti per imbarcazioni di varie metrature e una profondità di più di quattro metri. I pontili sono realizzati con passerelle basculanti che seguono l’andamento della marea. All’interno dell’area si trova un capannone per il rimessaggio invernale per imbarcazioni fino a trenta metri.

La Nausika Marine Yacht Center è una darsena che fornisce i principali servizi nautici a 150 barche fino ai venticinque metri di lunghezza. Si estende su un’area di 50.000 metri quadrati e dispone di una cabina di verniciatura per le imbarcazioni oltre i venti metri.

Dal porto vecchio al porto nuovo

Insediatosi sul fiume Corno, si tratta del porto più a nord dell’Adriatico, la cui attività è documentata almeno dal XVI secolo. Fino al 1860 fu crocevia di merci e scambi molto fiorenti, anche per la presenza di diverse famiglie marinare sangiorgine che praticavano un cabotaggio di piccole dimensioni. La nuova linea ferroviaria Nabresina (l’odierna Aurisina-Cormons), inaugurata nello stesso anno, spostò le direttrici commerciali verso Trieste e Cervignano, decretando un complessivo decadimento delle attività portuali di Nogaro.

Solo ventotto anni più tardi, con l’inaugurazione della linea ferroviaria “Udine-mare”, si poterono registrare i primi segni di ripresa. Nel 1895, infatti, il porto di Nogaro passò dalla quarta alla terza classe della seconda categoria, entrando così a far parte dei centoquattordici porti commerciali d’Italia. Da allora e fino al 1938, escludendo il periodo del Primo conflitto mondiale, il volume delle merci movimentate crebbe nonostante le limitazioni imposte alle imbarcazioni di grande portata dal basso livello dei fondali del varco di accesso in laguna di Porto Buso (l’antico Portus Alsuanum, già citato da Cassiodoro), la tortuosità del canale navigabile e del fiume Corno.

È utile ricordare che, nel frattempo, si erano insediate nella zona del porto alcune importanti attività produttive, tra cui uno zuccherificio rilevato poi dalla Montecatini e utilizzato per la produzione di perfosfati, la CICSA come deposito di carburanti e i cantieri navali San Giorgio e Istria. In questo stesso periodo avviano la loro attività la Cooperativa stivatori e scaricatori e la Cooperativa Friuli per la movimentazione delle merci. Bisognerà, in ogni caso, attendere gli anni del secondo dopoguerra perché il comitato Pro-Porto Nogaro (1946) e il successivo ente Porto Nogaro (1947) imponessero i primi lavori di ammodernamento della viabilità fluviale e della banchina. La costituzione del Consorzio per lo sviluppo industriale della zona Aussa Corno (1964) permise infine un fitto programma di lavori di sistemazione generale che portarono all’inaugurazione del nuovo porto Margreth (2010), qualche chilometro più avanti. A quest’ultimo sono oggi in grado di accedere imbarcazioni con pescaggio fino a sette metri e mezzo, ovvero fino a punte di settemila tonnellate di stazza. L’approdo offre una banchina di oltre ottocento metri lineari e trentasei ettari di piazzali portuali infrastrutturali.