Il primo anno di corsi

1 - Vita da studenti nel campo scuola di San Giorgio di Nogaro (13 febbraio – 31 maggio 1916)

Il 13 febbraio 1916 (si noti il brevissimo lasso di tempo intercorso tra la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale e l’attivazione della Scuola), dinanzi a 356 studenti in grigioverde del quinto e a 10 del sesto anno di Medicina, ebbe luogo la cerimonia inaugurale dei corsi:

Nell’elegante teatrino di San Giorgio adorno di bandiere tricolori, alla presenza del Duca e della Duchessa d’Aosta, di molti generali e di altri ufficiali superiori, di parecchi professori universitari in divisa, di ufficiali del regio esercito, d’una grande quantità di medici della Sanità Militare e della Croce Rossa […]. Il Generale Stefano Lombardi, Intendente della Terza Armata, dimostrò la necessità di questi studi e dei vantaggi che si speravano di ricavarne nell’interesse degli studenti e dell’esercito insieme. Disse che l’istituzione di questa Università a pochi chilometri dal fronte era una prova di forza della Nazione, e segnava qui, sul limitare del vecchio confine, il primo passo verso una meta che è nel desiderio di tutti e che dovrà un giorno accogliere quella Università che è stata per tanti anni un pio desiderio delle popolazioni irredente.1

 

Giuseppe Tusini, direttore dei corsi, suggellava così il suo intervento inaugurale «Scopi e limiti dei Corsi di medicina e chirurgia in zona di guerra», avendo prima ricordato l’appoggio ricevuto dalla duchessa Elena d’Aosta, ispettrice generale CRI in zona di guerra, presente alla cerimonia con il marito Emanuele Filiberto, comandante della III Armata:

Sentite: la guerra inevitabilmente deve fare opera di distruzione, ma pure qualcosa si semina, germoglia e si matura fra il cumulo delle sue fumanti rovine; e, come tutto ciò che nasce e cresce fra le asprezze, sarà qualcosa di forte che saprà poi resistere alle violente tempeste della vita. Cresce e si matura il nostro carattere, si consolida la nostra coscienza […].2

 

Un disegno del Sergente Maggiore Filippo Bisogna del 1917 fotografa dall’alto la dislocazione sul territorio comunale delle diverse strutture di quello che a tutti gli effetti si configurò come un antesignano campus universitario-ospedaliero, caratterizzato dalla concentrazione in un unico luogo – vero villaggio ospedaliero – di un’ampia ricettività di aule e di posti-letto in strutture sanitarie generalistiche e specialistiche [anche pediatria e ginecologia] cui affluiva una numerosità di materiale didattico tale da rendere accessibile uno studio evolutivo delle varie forme morbose e in una varietà tale da soddisfare tutte le esigenze dei docenti e degli studenti. Ciò si realizzò in virtù della prossimità reale con mutuo scambio tra “luoghi del sapere” (aule, e ospedali clinicizzati opportunamente decentrati) e “luoghi del fare” (trincea e posti di soccorso in prima linea) a tutto vantaggio di un sapere che si sarebbe immediatamente riversato nei “luoghi del fare” senza frapposizioni di spazi e di tempi ulteriori. Anche l’organizzazione didattica, che proprio perché accelerata era intensiva, era peculiare: la formazione si veniva a centrare su un core curriculum di insegnamenti, illustrati attraverso una didattica trasversale in cui il caso di specie faceva convergere progressivamente e ordinatamente su di sé tutti gli insegnamenti specialistici senza alcuna frammentazione degli stessi […].3

La mappa restituisce un “fermo-immagine” al 1917, quindi sia degli impianti del primo anno dei corsi, sia delle nuove strutture realizzate per il secondo anno (da 26 novembre 1916 al 31 marzo 1917).

Gli studenti che frequentarono la scuola furono trecentosessantasei (356 del 5° e 10 del 6° anno), provenienti da 15 Università d’Italia e collocati in forza dal punto di vista amministrativo all’ospedale di S.M. n. 238 sotto la direzione del maggiore medico Mario Molinari. Il Fondo Tusini conserva i registri con i nomi degli studenti, la cui precedente carriera scolastica fu ricostruita grazie alle informazioni laboriosamente reperite dalle università di provenienza di ciascun studente (solo Pavia rifiutò di collaborare) dallo staff della segreteria amministrativa e di disciplina diretto da Annibale Orani, segretario del Ministero della P.I., tenente commissario di CRI.

2 - Una pacifica invasione: studenti da tutta Italia nella prima Università nazionale

La vita della cittadina di San Giorgio di Nogaro cambiò ulteriormente i suoi ritmi e le sue atmosfere: già abituata alla dolorosa sequela di feriti e malati che si addensavano nei tanti ospedali sorti sul suo territorio, dovette metabolizzare velocemente anche la pacifica e più serena invasione di tanti giovani studenti:

Quei baraccamenti improvvisati, che servono da dormitori, così semplici nella loro costruzione, eppure così solidi e sicuri da ogni intemperia, ed ove i servizi accessori sono così bene studiati e distribuiti, da soddisfare qualsiasi esigenza igienica ed estetica; – quell’altro, ove si allineano in bell’ordine i tavolini per la mensa degli studenti, tutti lindi, puliti, preparati in modo inappuntabile, colla annessa cucina; – quella vasta sala, già sede di cinematografo, ed ora trasformata in aula di studio; quel palazzo comunale trasformato in clinica chirurgica sì da non aver nulla da invidiare alle cliniche delle nostre università, mentre nelle due scuole comunali si sono insediati due ospedali di guerra, che accolgono gli ammalati e i feriti che servono per le lezioni cliniche; – quella grandiosa sala ad anfiteatro sorta quasi per incanto, così semplice eppure di tanta praticità ove assistono alle lezioni quei 375 allievi, [si tratta di un errore del cronista; in realtà, come già detto, gli studenti del primo anno furono complessivamente 366] così allegri nella loro giovanile spensieratezza, eppure così fieri nella loro divisa grigio-verde; quell’istituto anatomico ed anatomo-patologico, costruito dietro il cimitero militare, provvisto di tutto ciò che può occorrere per l’insegnamento di così importante branca di studio; quelli ospedaletti adibiti alle varie specialità medico-chirurgiche, compreso l’istituto ostetrico-ginecologico, ed un piccolo ospedaletto infantile, che stanno ad attestare come anche in mezzo alla guerra non si trascuri nessun ramo della medicina, sul quale dovranno gli studenti affrontare l’esame alla fine del corso; un impianto di depurazione biologica delle acque di rifiuto, quale non si vede in nessuna città d’Italia; – tutto questo complesso di Istituti di coltura scientifica e pratica, se da una parte ci parla della serietà d’intenti, coi quali sorse l’Università Castrense, dall’altra non può fare a meno di suscitare un senso di meraviglia per la semplicità e l’ordine, col quale funzionano i vari servizi clinici e si svolgono i diversi insegnamenti. E gli insegnanti? Essi sono tutti Professori di Università o liberi docenti; sono quelli appunto, che, sebbene alcuni in età avanzata, tuttavia non esitarono a lasciare le dolcezze della famiglia, gli agi della città, i facili guadagni della zona territoriale e, arruolatisi nella Sanità militare e nella Croce Rossa, accorsero a dividere coi giovani allievi i disagi e i pericoli della zona di guerra. I loro nomi sono per sé soli una garanzia, più che sicura, della bontà e della serietà dell’insegnamento. […] Poiché qui, come bene si comprende, tutto procede con ordine militare dall’ora della sveglia all’ora del riposo. Dal Direttore dell’Università all’ultimo custode, tutti vestono la divisa del soldato. Quando il professore entra o esce dall’aula, si do l’«attenti», e tutti gli studenti scattano in piedi e salutano militarmente.4

 

Le corrispondenze epistolari degli studenti castrensi raccontano anche di una realtà caotica e talvolta confusa, specie nella complessa e accidentata fase di avvio della scuola; quasi un controcanto affettuoso rispetto la narrazione più edulcorata e formale fin qui attinta dalle fonti ufficiali.

Così lo studente parmense Alberto Bavagnoli scriveva alla famiglia, il 1 febbraio 1916:

[…] Qui a San Giorgio abbiamo trovato una baraonda. I corsi non sono ancora incominciati e chissà quando incominceranno. Fino ad ora non è pronto, e poi per modo di dire, che il luogo dove si mangia e di dorme. Dormiamo in baracche di legno fatte molto bene ed eleganti, in letti un po’ piccoli ma con materassi di lana e coperte e mangiamo in un altro locale, abbastanza bene con un servizio che sembra un albergo. Saremo in circa 400, studenti di tutte le parti d’Italia e si rivive un po’ di vita goliardica, perché fino ad ora di disciplina non se ne prova affatto. Sono in compagnia di dieci o dodici compagni di Parma e stiamo bene. Fino ad ora non sappiamo quanto durerà questo corso o che cosa salteremo fuori.5

 

La situazione mutò però drasticamente nel breve volgere dei giorni: scrive ancora Alberto Bavagnoli il 18 febbraio 1916, a quattro giorni dall’avvio dei corsi:

Da lunedì le lezioni […] sono cominciate e vi posso assicurare che quasi non c’è nemmeno il tempo di tirare il fiato. La cosa è cambiata completamente dai primi giorni. Ci dobbiamo alzare alle 6 perché alle 7 cominciano le lezioni e continuano ininterrottamente fino alle 12. Al dopo pranzo dalle 2 alle 6, e ciò tutti i giorni non esclusa la domenica. Alle 8 ritirata. Che ve ne pare? Tutti dicono che ci laureeranno anche perché ci fanno frequentare tutti i corsi del 6°. Potete assicurarvi che io farò quanto sta in me per far bene e credo che ci riuscirò. S. Giorgio è un paesetto come Soragna con pochissime attrattive, credo anzi che l’abbiano scelto per questo[…]. Oggi ho fatto i conti e sono 63 ore e mezzo che abbiamo di lezione per settimana.6

 

La testimonianza dello studente Bavagnoli trova riscontro nella relazione finale di Tusini:

Nei primi quindici giorni di lezione, per evitare che gli allievi subissero un sopraccarico repentino di lavoro intellettuale eccessivo dopo tanti mesi di allontanamento completo dalla scuola, non si ebbe studio camerale; poi fu regolarmente praticato dalle ore 20 alle 22 sotto la sorveglianza di un Maggiore dell’Esercito. Parecchi studenti avendo però in seguito richiesto un maggior periodo di tempo per lo studio serale, fu ulteriormente concessa, a quanti la richiesero, la facoltà di protrarre lo studio camerale fino alle 23.30.7

 

Ancora lo sguardo filmico di un giornalista della «Gazzetta di Venezia» riprende quasi in diretta la giornata-tipo degli studenti:

Per i trecentosessantacinque [ancora una piccola discrasia nel numero riportato dall’autore della cronaca giornalistica N.d.A.allievi della Scuola la sveglia suona inesorabilmente alle sei di mattino e la ritirata alle otto di sera. Dopo quest’ora nessuno deve essere in giro per San Giorgio, dove del resto le distrazioni sarebbero piuttosto scarse. I cancelli delle “caserme” si chiudono con tanto di lucchetto, e per quanto siano bassi, non avvengono “salti di barra”. In quei lindi dormitori – dove accanto allo zaino del soldato spuntano la pipa e i libri dello studente – i giovani se ne stanno invece seduti sui letti allineati, a chiacchierare e a studiare finché vogliono al lume della candela.

Tra i due estremi della giornata il loro tempo è ben riempito. Alle sette e mezza gli allievi si distribuiscono a turno nell’anfiteatro di anatomia, per le esercitazioni di medicina operatoria; nei vari ospedali, nell’infermeria del presidio, nell’ambulatorio militare, per il servizio medico; nei laboratori di igiene e di batteriologia; nella clinica ostetrica e in quella dei bambini. Poiché lo stato di guerra non ha fatto trascurare queste due forme speciali di assistenza, le ha anzi imposte, essendo nei paesi “redenti” la popolazione delle donne e dei bambini quasi abbandonata a se stessa. E poi, fino a sera, ci sono le lezioni: quelle dei corsi prescritti dai programmi e di quelli in cui si svolgono materie attinenti in modo particolare alla guerra. Come la protesi e chirurgia degli arti, la traumatologia di guerra – che studia le particolari lesioni delle ferite guerresche – la profilassi igienica e l’epidemiologia, la logistica sanitaria – che si occupa dell’organizzazione medica al campo – la stomatoiatria. Quest’ultimo insegnamento, di carattere pratico, è stato consigliato dal gran numero di ferite alla bocca che si riscontrano in tutti gli eserciti belligeranti per il modo in cui ora si combatte.8

3 - Lo studio al Teatro Maran

Attorno alla stazione ferroviaria (il primo treno era giunto in paese il 26 agosto 1888) di San Giorgio di Nogaro, ultimo paese del Regno d’Italia, agli inizi del secolo erano fiorite attività commerciali, alcuni alberghi e un salone-teatro con l’annessa sala da ballo, sviluppata in una struttura esagonale con copertura a pagoda. L’apparato interno, costruito su due livelli di palchi e sorretto da colonnine di legno a capitelli decorati, comprendeva ordini speculari di galleria e una vasta platea. Questo spazio fu requisito dall’Intendenza militare come sala di studio serale e biblioteca per gli studenti specie durante il primo anno dei corsi. Fu, invece, meno intensamente utilizzata nel secondo anno, perché il baricentro della vita universitaria sarebbe nel frattempo spostato nei nuovi fabbricati della fornace Foghini, costruiti per una popolazione studentesca più che raddoppiata, da 366 a 812 studenti nel passaggio tra il primo e il secondo anno.

Come nota di colore rispetto al modo con il quale gli studenti-soldato abitavano questo spazio “serale”? Si riportano solo ai fini della ricostruzione di un particolare clima, due testimonianze diverse ma complementari:

Ho assistito, senza essere visto alla loro [degli studenti] radunata serale nel vasto locale circolare del cinematografo. Nella sala sono deschetti di legno e panche disposti in cerchi concentrici. Pendono le lampadine elettriche a illuminare i piccoli tavoli. Dal palcoscenico talora si fanno proiezioni illustrative. Ma per lo più gli studenti sono liberi di accudire ai lavori loro. Chi studia, chi rilegge i sunti delle lezioni, chi scorre i giornali, chi scrive. Ma quello che colpisce è il grande silenzio di tutta questa gioventù radunata insieme la sera, dopo una buona giornata di lavoro. Un silenzio non d’oppressione o di stanchezza, un silenzio operoso, che è l’espressione del rispetto di ciascuno alla tranquillità del compagno. E tutto questo senza che vi sia un superiore a mantenere la disciplina.9

 

Lo sguardo, allora bambino dello scrittore e storico locale Ferruccio Costantini, nel descrivere i vari luoghi del campus (in particolare la sala studio ricavata nel Salone del Teatro Maran – Dai Magòs10ovvero il «salotto buono» della comunità sangiorgina), ne coglieva invece l’atmosfera di sorridente goliardia:

[…] un altro grande locale per lo studio, ‘lì dai Màgos’, studio che, data la vicinanza, si prestava benissimo perché gli allievi saltassero spesso la sbarra per andare a finirla da ‘Siore Eulalie’ all’albergo della stazione; a consumare spuntini e bevande e più di tutto a far ammattire l’ambiente.11

4 - Un luogo per la ricerca: il centro batteriologico della III Armata

Il 17 ottobre 1915 la duchessa Elena d’Aosta scrive: «San Giorgio di Nogaro. Gabinetto Batteriologico. È impiantato dal colonnello Tusini, Delegato sanitario della Terza Armata per la Croce Rossa». È la prima volta che nel suo diario “di guerra” (pubblicato nel 1930 con il titolo Accanto agli Eroi), viene citato colui che avrebbe dato struttura organizzativa e didattica alla Scuola medica da campo: il prof. Giuseppe Tusini. A legarli c’era un antico rapporto di stima e consonanza di visioni che si rivelarono determinanti nel “percorso a ostacoli” che avrebbe portato all’istituzione della Scuola medica da campo.

Il laboratorio di “batteriologia e microscopia clinica” di San Giorgio di Nogaro precede l’istituzione dell’Università Castrense e in qualche modo ne precostituisce la condizione fondamentale. Si trattava di un «gabinetto di bacteriologia, quale difficilmente si vede in molti nostri istituti superiori», che funzionerà sempre da garante di scientificità per la pratica medico-chirurgica e per una formazione integrale degli studenti, i quali saranno tutti comandati a praticarlo con turni giornalieri (assiduità quasi impensabile nelle “normali” Università del Regno).

Il ruolo e la centralità della ricerca medico-scientifica furono enfatizzati dalle situazioni emergenziali imposte dalla guerra, come spiega lo stesso Tusini: «E poiché la vita qui è enormemente più densa e la popolazione soggetta a queste condizioni di morbilità, deve risultare a tutti evidente come, anche in rapporto a tutte le altre discipline mediche, la messe di osservazioni e relative applicazioni terapeutiche debba essere straordinariamente ricca, giacché in zona di guerra così ristretta, necessariamente si radunano tutte quelle manifestazioni morbose che di solito si trovano disperse nell’ambito della nazione intera».

Malattie e infezioni, infatti, erano moltiplicate dalle condizioni igieniche e dalla scarsa efficacia del servizio sanitario al fronte, spesso non così tempestivo a causa dell’inusitata quantità di casi di emergenza. Fino all’avvento degli antibiotici, utilizzati per la prima volta dall’esercito americano durante il secondo conflitto mondiale, le ferite all’addome, al torace e al capo provocavano una mortalità altissima per infezione; mortalità solo in parte mitigata dagli effetti della “Soluzione Dakin-Carrel”, dai nomi del chimico Henry Drysdale Dakin e del Premio Nobel Alexis Carrel, i quali misero a punto il primo potente disinfettante della storia: una soluzione antisettica a base di acido ipocloroso, la cui efficacia fu testata proprio durante la Grande Guerra. Nel corso del 1917 alcuni ospedali (tra cui il n. 8 di San Giorgio) furono sollecitati dall’Intendenza Generale a sperimentare un analogo preparato di produzione italiana: il “Clorosol Giannettasio” della Farmacia Roberts di Firenze.

Allo stesso modo, per scongiurare possibili focolai infettivi causati dal sovraccarico umano, l’improvvisato campus universitario sangiorgino era stato dotato di «un impianto di depurazione biologica delle acque di rifiuto, quale non si vede in nessuna città d’Italia».12

Anche grazie alla presenza di centri di ricerca e di analisi come questo, la pratica medica sarebbe uscita dal terribile crogiolo della guerra con un notevolissimo bagaglio di esperienze che poi saranno applicate nella medicina civile. Paradossalmente, anche la chemioterapia si deve all’uso dei gas portatori di morte, in particolare il terribile “gas mostarda”. Dopo la guerra i farmacologi Louis Goodman e Alfred Gilman, sostituendo una molecola di azoto allo zolfo del gas letale, lo fecero diventare un efficace trattamento per la cura del cancro.

Forse qualcosa di tutto questo rimane nel DNA di San Giorgio di Nogaro,sede per molti decenni del laboratorio che faceva screening radiologico per tutta la Bassa (il cui antesignano era già operante nel 1916), del Distretto Sanitario e del Centro Medico che ha conservato la denominazione “Università Castrense”.

5 - Il primo anno di corso «è finito di morte violenta»

La stagione degli studi per i 356 studenti-militari del quinto anno e per i 10 del sesto fu breve (durò dal 14 febbraio a fine maggio 1916); furono erogate complessivamente 580 lezioni (512 relative all’ultimo biennio e 68 a materie arretrate) per 47 ore settimanali, con l’aggiunta di quattro ore di lezione per l’insegnamento di Patologia medica dedicate a coloro che non ne avevano ancora sostenuto l’esame. Allo stesso modo gli studenti dovevano partecipare a turni di esercitazioni pratiche, di sala operatoria e di medicina operatoria sui cadaveri. Durante le lezioni e le esercitazioni pratiche agli studenti venne presentata l’ampissima casistica di 5.977 malati o feriti scelti negli ospedali militari e fra la popolazione civile, mentre il prof. Antonio Dionisi praticò 245 autopsie didattiche. Il mattino, prima della frequenza obbligatoria alle lezioni, ciascun studente era impegnato per circa due ore in un’attività quotidiana di praticantato presso i vari ospedali, laboratori e servizi di ostetricia e pediatria; in particolare furono 105 i casi pediatrici esaminati nei turni, e 125 donne gravide, puerpere o con patologie ginecologiche. Gli studenti ebbero l’occasione di assistere complessivamente – nei turni – a 25 parti e 24 interventi ginecologici. Di norma l’intensa giornata castrense si concludeva con lo studio individuale nel piccolo teatro locale, adattato come si è visto, nella logistica del campus, a “sala di lettura”.

Per l’insegnamento dell’Anatomia Patologica – scrive Tusini nella relazione finale al Ministro della P.I. – bisognò risolvere una qualche difficoltà per il trasporto a San Giorgio dei cadaveri provenienti dai vicini ospedali militari, giacché lo vietavano fino ad allora, per ovvie ragioni militari, precise disposizioni del Comando Supremo, e per altrettante ovvie ragioni d’igiene, il Commissario degli affari civili. Dalla premurosa sollecitudine di tutti in favore della Scuola, ottenni la deroga a tale disposizione con l’osservanza delle norme contenute negli art. 31.34.37.38. del Regolamento di polizia mortuaria approvato con R. Decreto 25 luglio 1892 n. 498. Ed il relativo servizio, per l’abnegazione del Prof. Dionisi, venne fatto in modo che, senza violare il sentimento di pietà dovuto ai nostri soldati morti sul campo dell’onore, la Scuola di San Giorgio non venne a mancare del materiale necessario alle osservazioni necroscopiche.

Oltre che alle lezioni gli studenti divisi in gruppi più o meno numerosi secondo la capacità dei vari istituti, assistevano giornalmente anche ad esercitazioni pratiche nei due Ospedali della Sanità Militare, nei sei Ospedali della Croce Rossa Italiana, nell’infermeria presidiaria, nell’ambulatorio militare, nel Laboratorio di igiene e batteriologia e nei reparti staccati della Clinica Ostetrica (Ospedale Civile di Latisana) e della Clinica Pediatrica.

Per queste due ultime esercitazioni il materiale più che sufficiente veniva raccolto fra i civili del luogo e dei dintorni. Per l’Ostetricia e Ginecologia poi gli studenti, divisi in gruppi di 20 ciascuno, seguirono non solo le lezioni generali, ma anche 34 lezioni pratiche oltre gli esercizi di assistenza ai parti e le operazioni ostetriche e ginecologiche.

Due volte alla settimana furono fatte nel locale dello studio serale proiezioni illustrative sopra speciali argomenti svolti in alcune lezioni.13

 

Accanto ai corsi regolamentari, alcuni docenti (in particolare Francesco Feliziani per Patologia speciale medica e Leonardo Dominici per la chirurgica) tennero lezioni ad hoc per gli studenti in arretrato con i relativi esami. Tali corsi intensivi ebbero poi ottimi riscontri in sede di esame.

A metà aprile (precisamente dal 15 al 26), in concomitanza con il periodo pasquale per ottimizzare al massimo i tempi, gli studenti poterono beneficiare di una “licenza” di dieci giorni per sostenere gli esami arretrati di annualità precedenti presso le facoltà nelle quali avevano frequentato i relativi corsi prima dello scoppio della guerra: 221 studenti fruirono di questa opportunità, smaltendo complessivamente 809 esami con risultato positivo (solo 10 studenti non superarono le prove).

Tusini si spese quasi allo sfinimento presso il ministero dell’Istruzione affinché la sessione finale degli esami «speciali» di giugno (sanzionatrice dell’attività svolta nei corsi accelerati) potesse tenersi nella sede di San Giorgio in presenza di qualificate commissioni di nomina ministeriale e rappresentative del corpo docente di Medicina di tutte le Università del Regno. In tal modo agli studenti sarebbero stati evitati sfiancanti e onerosi spostamenti proprio nel frangente, oltre a tutto, stava riprendendo con inaudita violenza la stagione dei combattimenti sul Carso. Gli studenti provenivano, infatti, da 15 Facoltà mediche d’Italia: 81 da Napoli, 46 da Bologna, 39 da Padova, 37 da Roma, 34 da Pavia, 28 da Palermo, 19 da Torino, 16 da Parma, 15 da Genova, 14 rispettivamente da Modena e da Firenze, 9 da Pisa, 7 da Catania e 6 da Siena. Un solo studente rappresentava la Sardegna (Sassari). La proposta di Tusini fu respinta, poiché collideva con lo specifico articolo del decreto istitutivo n. 38 che imponeva tassativamente agli allievi della scuola di San Giorgio di sostenere gli esami in «una» università del Regno.

Non se ne fece tuttavia nulla, anche perché l’offensiva austriaca, passata alla storia come Strafexpedition, impose sullo scorcio di maggio un repentino trasferimento di tutte le forze disponibili sul fronte fra Trentino e Veneto. Il 24 maggio 1916:

I corsi intanto volgevano alla fine – scrive ancora Tusini – ed il giorno stesso che dopo aver stabilito con Sua Eccellenza il Ministro della Pubblica Istruzione e quello della Guerra, perché a norma dell’art. 4 del Decreto di istituzione della scuola, gli studenti potessero sostenere gli esami presso una R. Università, io ritornavo a S. Giorgio per darne loro notizia, l’Austria intraprendeva l’offensiva minacciosa del Trentino. Il Comando supremo dispose telegraficamente che si sospendessero i corsi e che gli studenti di San Giorgio, nominati tutti aspiranti medici compresi gli ufficiali combattenti che volessero rinunziare al grado, fossero avviati subito ai reggimenti. Gli allievi, ignari affatto delle critiche improvvise circostanze belliche, i quali mi aspettavano ansiosi per conoscere l’esito delle pratiche pei loro esami furono da me radunati [sic] nell’aula magna. Li feci partecipi senz’altro di quanto esigevano le imperiose condizioni del momento della fiducia che aveva riposto in essi l’Autorità Militare promovendoli tutti al grado di aspirante, e dell’aiuto che si attendevano da essi i bravi nostri soldati assieme ai quali si sarebbero trovati fra poco nei reggimenti a fare il loro dovere. Avendo detto che per ordine superiore trenta di essi dovevano partire immediatamente pei posti di medicazione reggimentali, essi, dimentichi di ogni loro particolare interesse si offrirono tutti di correre subito presso i loro compagni d’arme a porgere l’aiuto che gli insegnamenti ricevuti in San Giorgio permettevano loro coscienziosamente di dare. Fui quindi costretto a scegliere i primi trenta in ordine alfabetico, ed all’Intendenza dell’Esercito la quale mi domandava assicurazione che trenta allievi della Scuola di San Giorgio partissero immediatamente per la prima Armata, mi sentii orgogliosamente di rispondere nei seguenti modi:

«Onoromi assicurare che trenta aspiranti medici Scuola San Giorgio partirono già per destinazione indicata, ed io ho piacere annunziare che tutti i rimasti sono impazienti di fare subito altrettanto». 14

 

Il 24 maggio la scuola fu dichiarata di fatto conclusa. «Il corso è finito di morte violenta – scrive lo studente Alberto Bavagnoli il 26 maggio 1916 – il primo scaglione di aspiranti parte oggi».15 La prevista sessione degli esami di giugno fu annullata e gli studenti restituiti ai diversi luoghi della guerra, con il solo titolo di «aspiranti medici». Durante l’estate 1916 i locali della Scuola medica, rimasti deserti, furono trasformati in corsie ospedaliere; il Comando Supremo ricusò, infatti, la proposta di Tusini di far convergere dal fronte al campus di San Giorgio gli iscritti al 4° anno delle facoltà mediche, per un corso intensivo di rispolvero di nozioni e pratiche inerenti le materie di studio, preferendo attribuire a Tusini e ai suoi docenti una diversa incombenza di carattere “rieducativo” nei confronti della frazione residuale della popolazione studentesca del 5° e 6° anno di Medicina rimasti in forza ai servizi territoriali della Sanità Militare, lontani dalle zone di combattimento. L’emergenza sanitaria era tale da richiederne l’inserimento nei reparti di prima linea, com’era precipitosamente accaduto per gli studenti di San Giorgio; ma per praticare delicati ruoli sanitari in tali contesti – con l’assunzione delle relative responsabilità di carattere legale – era indispensabile lo status di “aspiranti medici” «ché la grande maggioranza pur avendone la idoneità fisica e accademica non ha finora richiesto, per poter continuare a rimaner in zona territoriale».[3] In questi termini veniva impartito, il 28 giugno 1916, dall’autorità militare l’ordine di concentrare a San Giorgio di Nogaro anche i citati studenti-soldato ‘territoriali’ (221 in tutto, si sarebbe appurato alla fine) per «far loro avvertire più efficacemente lo stimolo del dovere, accertare di ciascuno la sufficienza dei titoli di studio e l’idoneità fisica con uniformità di criterio, e perciò è necessario di riunirli tutti per un breve periodo di tempo (15/20 giorni al massimo) in un unico stabilimento sanitario».[4] L’obiettivo era dunque quello di motivare a scelte più radicali e coraggiose anche i giovani, che rinunciando a gradi più elevati, avevano privilegiato collocazioni più comode e sicure lontane dal fronte, e apparivano pertanto tiepidi nell’assunzione delle responsabilità proprie della gravità del momento, nella convinzione che «la convivenza pur breve in quell’ambiente basterà a riaccendere qualche assopita energia morale ed elevare gli animi alla stessa tonalità di sentimento come già si è constatato negli allievi del recente corso di istruzione».[5] I risultati – secondo la testimonianza di Tusini – furono davvero eclatanti:

Dopo qualche giorno, quelli ne avevano i requisiti fecero la loro domanda per aspiranti; i laureati richiesero ed ebbero la nomina a sottotenente, a tenente, a capitano a seconda dell’anzianità di laurea; per gli altri ottenni che fruissero di una licenza per dare gli altri esami alle loro Università, cosi chè tutti, dopo un mese di permanenza a San Giorgio, furono inviati a prestare l’opera loro nei reggimenti a negli ospedali da campo. Gli altri pochissimi che non avevano potuto raggiungere le condizioni necessarie per la nomina ad aspirante, una ventina in tutti, rimasero in zona di guerra a continuare il loro servizio come aiutanti di sanità, facendo voti di poter sostenere quanto prima gli esami per seguire le sorti dei compagni.[6]

 

La relazione di Tusini al Ministro così concludeva:

La eccellenza Vostra ha così il modo di potere convincere coi fatti, che non è stata sorpresa, come taluno ha osato affermare né la buona fede Sua né quella del Comando Supremo, ma tutti gli insegnanti della Scuola di San Giorgio si sono volontariamente sobbarcati a fatiche non indifferenti, a disagi non comuni, a sacrifici personali considerevolissimi per uno scopo veramente nobile ed alto che hanno già dimostrato di volere e di saper raggiungere con tutto il maggiore onore possibile per il proprio paese.[7] 

 

Intanto il prolungarsi della guerra acuiva il problema dei destini professionali dei giovani studenti-soldato costretti a interrompere bruscamente gli studi; la fragile organizzazione sanitaria dell’Esercito, infatti, non poteva certo disperdere risorse umane e competenze così drammaticamente necessarie e spendibili anche al presente.